Come il virus è un fenomeno che non interessa solamente il virologo o l’epidemiologo, così il dolore non è qualcosa di competenza esclusiva del medico o del fisiologo. È noto da tempo che modelli psicologici, sociali, economici e culturali incidono sulla fisiologia umana, condizionando l’esperienza del dolore, in cui rientra non solo la sensazione dolorosa, ma anche gli stati emotivi e psicologici a essa collegata. Nelle attività fisiologiche dell’uomo, i modelli culturali e sociali hanno una parte tanto importante che, in determinate situazioni, possono addirittura svolgere un’azione contraria ai bisogni fisiologici, determinando l’atteggiamento e le reazioni nei confronti del dolore provocato da malattie e ferite.
Si pensi, ad esempio, al dolore inflitto nel corso dei riti iniziatici, stoicamente superato dai neofiti per accedere al loro nuovo status sociale, nonostante l’indubbia intensità dello stesso. Oppure, al contrario, alla reazione violenta e talvolta inattesa di taluni che subiscono la puntura di una siringa o di uno spillo, a dispetto della tenuità della sofferenza causata dall’ago o dallo spillo.
La sociologia ha da tempo rivelato che il dolore, come altri fenomeni fisiologici, acquista uno specifico significato sociale e culturale che determina le reazioni a esso. Quindi, individui appartenenti a culture diverse reagiscono in maniera diversa al dolore. Ad esempio, in passato il dolore delle doglie del parto era considerato, anche per la nota “legittimità” fornita dalla condanna biblica (Genesi 3,16: «Alla donna disse: “Moltiplicherò i tuoi dolori e le tue gravidanze, con dolore partorirai figli. Verso tuo marito sarà il tuo istinto, ma egli ti dominerà”» Bibbia CEI), qualcosa di “naturale”, “inevitabile”, da sopportare con pazienza. Anzi, un vero parto non era tale senza le doglie. Oggi, l’“epidurale” e altri metodi analgesici permettono di annullarne gli effetti quasi completamente, almeno nelle società occidentali avanzate, e il dolore del parto è considerato innaturale e da evitare il più possibile.
Tra le variabili culturali sono da considerare, ovviamente, anche variabili relative alla classe sociale e occupazionale di appartenenza, all’istruzione, alla religione ecc. Come abbiamo visto, la legittimazione religiosa può consentire di assegnare al dolore un significato salvifico, iniziatico, di prova imposta dalla divinità, di viatico a una condizione migliore, di “offerta” al soprannaturale. Significati che rendono più sopportabile il dolore e consentono di attribuirgli valenze positive. L’istruzione permette di attribuire significati corretti al dolore, riconducendolo nell’ambito della giusta cornice medica di riferimento e di evitare stati ansiosi duraturi. Infine, il medesimo dolore può avere conseguenze diverse, in termini lavorativi, su un operaio addetto a lavori manuali e su un avvocato: nel primo caso, potrebbe significare l’impossibilità di continuare a lavorare; nel secondo, solo uno spiacevole contrattempo, niente affatto inabilitante.
Tra i testi di psicologia e sociologia del dolore ormai classici, è opportuno segnalare “Relationship of significance of wound to pain experienced”, pubblicato nel 1956 da Henry Knowles Beecher (1904–1976) medico, anestesista e filosofo della medicina americano. In esso, Beecher, già noto per i suoi studi sull’effetto placebo, dimostra empiricamente che il significato che la persona sofferente attribuisce al dolore determina la sua esperienza di questo, incidendo sul livello e la gravità della percezione della sofferenza.
Si tratta di una conclusione densa di importanti implicazioni sia teoriche sia pratiche, ancora oggi “incorporata” nella prassi medica di tutto il mondo.
Vi invito a leggere qui l’intero articolo di Beecher (per la prima volta tradotto in italiano) con una mia articolata introduzione, che contestualizza la tematica del “significato del dolore” connettendola agli studi di altri importanti autori.
Un banco di prova interessantissimo per i cultori delle scienze psicologiche e sociologiche e per chi intende conoscere perché il dolore non è un fatto puramente fisiologico.