Cui prodest scelus, is fecit (“il delitto l’ha commesso colui al quale esso giova”) si legge nella Medea di Seneca. In effetti, in ambito criminologico, gli investigatori adottano spesso questo principio per dare una direzione alle proprie indagini. E talvolta con buoni frutti, perché raramente un delitto viene compiuto per motivi non intenzionali. Sennonché, le cose non vanno sempre secondo programma e una rapina può finire inintenzionalmente in un omicidio, un piano finemente congegnato può essere sventato per un dettaglio apparentemente poco significativo, un complice può rivelarsi più che maldestro e così via. La storia del crimine è costellata di quelle che i sociologi chiamano “conseguenze non intenzionali dell’azione sociale”. La storia, del resto, ci insegna che le vicende umane sono spesso determinate da eventi fortuiti, marginali, che esercitano funzioni “latenti”, come afferma Robert Merton, funzioni, cioè, le cui conseguenze non sono né volute né ammesse e che, come tali, si contrappongono alle funzioni “manifeste”, le conseguenze oggettive che sono volute e ammesse. Per Robert Merton, lo studio delle conseguenze non intenzionali dell’azione sociale è particolarmente proficuo per il sociologo, che a esso dovrebbe dedicare le sue energie.
Di questo consiglio non sembrano curarsi i teorici del complotto, i quali fanno del criterio del cui prodest uno dei criteri più coerenti e solidi del loro armamentario congetturale. In questo modo, qualsiasi cosa accada – un disastro naturale, un attacco terroristico, una rivoluzione sociale, un fenomeno migratorio – viene sempre e comunque ricondotta al disegno occulto di sinistri individui che cospirano per raggiungere precisi obiettivi sociali (la conquista, il dominio, la fine del mondo) e a cui giova esattamente l’accadimento di quel determinato fenomeno, che naturalmente è voluto e intenzionale. Così, un attacco terroristico viene sempre organizzato allo scopo di provocare una instabilità mondiale e la scalata al controllo del pianeta da parte di organizzazioni innominabili (gli Illuminati? il gruppo Bilderberg? la Commissione Trilaterale?). Un disastro ambientale è sempre orchestrato da potenti quanto subdole multinazionali pronte a spartirsi i proventi della ricostruzione. Le migrazioni internazionali sono volute dai “poteri forti” (termine vago, buono a tutto) per sostituire la popolazione europea con masse remissive e prive di diritti.
Il criterio del cui prodest è particolarmente utilizzato in riferimento a virus ed epidemie. Ad esempio, il virus dell’AIDS è stato interpretato sia come una punizione divina apparsa per colpire pericolosi peccatori (omosessuali, tossicodipendenti, prostitute, ecc.) per il loro comportamento immorale (in questo caso la trama sarebbe ordita addirittura da una divinità!), sia come strumento ideato in laboratorio per decimare la popolazione nera, ispanica e omosessuale.
Lo stesso criterio è abbondantemente saccheggiato dagli odierni complottisti del coronavirus. Per proteggerci dal virus abbiamo bisogno di mascherine, guanti e amuchina? Bene, il virus è stato intenzionalmente provocato dalle grandi multinazionali in modo da lucrare sulla vendita di queste merci. Il virus costringe a sospendere le attività commerciali per periodi di tempo più o meno lunghi? Dietro ci sono ineffabili organizzazioni che mirano all’instaurazione di un sistema unico di governo mondiale, all’imposizione di un regime unico di pensiero, all’ascesa al potere di un dittatore mondiale. Il virus minaccia gli equilibri demografici di mezzo mondo? Dietro c’è la volontà “chiara e limpida” della Repubblica Popolare Cinese (o di un qualsiasi altro attore) di conquistare il mondo. Tutto è lineare. Tutto è prevedibile. In altre parole, tutte le volte che accade qualcosa di negativo, questo deve per forza essere imputato alla volontà perversa di una superiore forza malvagia. Come corollario, le cospirazioni inducono una mentalità paranoica in cui tutti complottano contro tutti. Ogni evento acquista una nuova luce. Le coincidenze non sono mai tali. Ogni fatto, per quanto minimo, ha un suo ruolo ben preciso nella trama dei cospiratori. Il finalismo prevale sulla casualità.
Ciò che sfugge ai teorici del complotto è che determinate conseguenze sociali possono essere semplicemente non intenzionali e che, ad esempio, il fatto che determinate industrie possano trarre vantaggio dalla vendita di articoli indispensabili per scongiurare la diffusione del virus è puramente “casuale” (horribile dictu alle orecchia di un cospirazionista convinto).
Le parole più dure e sagge sulla fragilità delle teorie cospirative sono state scritte dal filosofo Karl Popper. Secondo Popper, le teorie cospiratorie sono tanto pervasive e ubiquitarie quanto infrequenti e inefficaci, perché i risultati conseguiti, solitamente, differiscono ampiamente dai propositi originari. Ciò è talmente vero che, a suo avviso, come per Merton, compito principale delle scienze sociali dovrebbe essere l’indagine delle ripercussioni sociali, non intenzionali, che seguono alle azioni umane intenzionali.
L’inefficacia pratica delle cospirazioni è evidente, per Popper, da questo esempio:
Se una persona desidera comprare urgentemente una casa in un certo quartiere, possiamo sicuramente supporre che non intende elevare il prezzo di mercato delle case di quel quartiere. Ma il fatto stesso che egli si presenta sul mercato come acquirente, tenderà a far aumentare i prezzi. Rilievi analoghi valgono per chi intende vendere. Si consideri anche un esempio in un caso assai diverso: se uno decide di fare un’assicurazione sulla vita, è improbabile che abbia intenzione di incoraggiare altri ad investire denaro in azioni assicurative. E ciononostante sarà così.
Da questo comprendiamo, chiaramente, che non tutte le conseguenze delle nostre azioni sono intenzionali, e dunque che la teoria sociale della cospirazione non può essere vera, perché equivale all’asserzione che tutti gli eventi, anche quelli a prima vista non premeditati da alcuno, sono l’esito deliberato dell’azione di coloro che ad essi miravano per interesse (Popper, K. 1972. “Previsione e profezia nelle scienze sociali” in Congetture e confutazioni. Bologna: Il Mulino, pp. 580-581).
Il fatto interessante è che le cospirazioni quasi mai si realizzano nella maniera prestabilita semplicemente perché… quasi mai nulla riesce esattamente nel modo prestabilito. Nella vita sociale è difficile provocare il preciso effetto che desideriamo per il gran numero di variabili umane coinvolte e perché, normalmente, si ottengono conseguenze non desiderate.
Tutto ciò è inaccettabile per il cospirazionista, che nasconde la complessità dietro congetture lineari e prevedibili. Certo, ciò è rassicurante perché vuol dire che le vicende umane sono controllabili e gestibili (anche se da poteri nefasti), ma non riconosce il ruolo dell’imponderabile che è molto più grande di quanto siamo disposti ad ammettere. E un’epidemia, per definizione, è uno degli eventi più imprevedibili che ci siano. Anche se, ex post, tutto sembra “chiaro come il sole”.