Compiere gli anni e celebrare il proprio compleanno o quello dei propri cari sembra un fatto talmente banale che diamo per scontato che le cose siano sempre state così. Dopotutto, cosa c’è di più naturale che sapere di avere 20, 37 o 61 anni? È talmente naturale che tendiamo immediatamente ad associare la dimenticanza della propria età a un grave disturbo mentale. Ma le cose non sono sempre andate così. Anzi. Secondo lo storico Jean-Claude Schmitt, l’invenzione del compleanno sarebbe addirittura un fatto storicamente recente, che risale alla fine del Medioevo. La prova? La più antica attestazione della celebrazione del compleanno si trova nel Milione di Marco Polo, scritto intorno al 1298, opera in cui lo scrittore veneziano racconta tutto meravigliato che i sudditi del Gran Khan Kublai avevano la bizzarra abitudine di celebrare con banchetti e doni di ogni tipo il compleanno dell’imperatore. La cosa può apparire sorprendente, ma Schmitt adduce una serie di ragioni che spiegano come ciò sia potuto accadere.
Tanto per cominciare, è indispensabile possedere gli strumenti necessari per conoscere il giorno esatto della propria nascita, avere cioè la possibilità di registrarlo in qualche maniera, se possibile con un atto scritto, meglio ancora se ufficiale. E questo nel Medioevo non sempre accadeva. Quella che noi conosciamo come “anagrafe”, infatti, fu creata solo durante la Rivoluzione francese, mentre i registri parrocchiali riportavano solo le date di battesimo, matrimonio e morte, considerate come le uniche veramente importanti. Bisogna poi fare attenzione al susseguirsi degli anni e al posto che occupa l’anno della propria nascita, il che presuppone non solo l’esistenza di un calendario, che fissa la durata e le parti dell’anno, ma anche un tacito accordo sul momento esatto in cui un anno subentra a un altro. Al riguardo le pratiche medievali erano varie e fluttuanti. Basti pensare che il calendario gregoriano, ancora oggi il calendario ufficiale per la maggior parte delle nazioni del mondo, fu adottato solo nel 1582.
Bisogna inoltre avere la capacità intellettuale e materiale di contare gli anni trascorsi e sommarli. Nel Medioevo, la conoscenza approssimativa della propria età era la regola in tutti gli strati della società, da cui la formula consacrata: “tale età o circa”. In altre parole, se per noi “fare di conto” è un’abilità che impariamo quando frequentiamo le scuole elementari, l’analfabetismo medievale faceva della conoscenza dell’aritmetica un’eccezione piuttosto che la regola, almeno per quanto riguarda le masse. Non erano disponibili poi strumenti – carta, quaderni, penne ecc. – che permettessero di tenere traccia della propria età come di tante altre cose.
Un esempio al riguardo ci è fornito dallo storico francese Georges Duby, nel suo libro Guglielmo il Maresciallo in cui tratteggia la biografia di un cavaliere medievale che, in vecchiaia, diceva di avere più di 84 anni:
Più di ottantaquattro anni, diceva. Esagerava un poco, non conoscendo con precisione la propria età. Ma chi la conosceva a quell’epoca? Si dava importanza ad altre date della vita, non a quella della nascita. Di questa ci si dimenticava. E i vecchissimi erano tanto rari che la gente aumentava i loro anni, e anche da sé si invecchiavano. D’altra parte nemmeno noi sappiamo quando è nato Guglielmo il Maresciallo. Gli storici hanno fatto calcoli, supposizioni; propongono una data intorno al 1145 (Duby, G., 1995, Guglielmo il Maresciallo, Laterza, Roma-Bari, p. 5)
Ci sono anche una serie di ostacoli ideologici. Dobbiamo ricordare che, per tutto il lungo Medioevo, il giorno più importante della propria vita non era quello della nascita, ma quello della morte che segnava l’ingresso nella vera vita, quella eterna. Tanto è vero che le espressioni anniversarium e dies natalis indicavano il giorno della morte, non quello della nascita. Per il Medioevo, il giorno della nascita non permette all’uomo di accumulare meriti o demeriti che decideranno della sua sorte nell’aldilà. Solo il giorno della morte è importante perché allora la vita trascorsa sarà giudicata per intero.
Nella Bibbia poi il compleanno è per lo più associato a disgrazie: ad esempio Giobbe e Geremia maledicono i giorni in cui sono nati. È vero che ci sono tre importanti nascite: quella putativa di Cristo del 25 dicembre; quella putativa della Madonna dell’8 settembre e quella putativa di San Giovanni il 24 giugno. Ma queste date appartengono al tempo circolare del calendario liturgico. Le tre personalità indicate non accumulano gli anni a partire da una data originaria. Per intenderci, Cristo non invecchia con ogni Natale.
Insomma, non c’era posto per il compleanno nel cristianesimo in quanto pratica religiosa: il battesimo, la morte cristiana, l’interesse per l’anima e non per la carne, il concetto di peccato originale non potevano che svalutare notevolmente la nascita e allontanare l’idea di celebrarla tutti gli anni. Inoltre, il fatto che il paganesimo avesse invece celebrato il compleanno, associava questo a pratiche aborrite che il cristianesimo medievale non vedeva di buon occhio. Sant’Agostino, ad esempio, si opponeva alla celebrazione del compleanno perché ricordava la perpetuazione del peccato originale mediante la nascita carnale.
Per reinventare il compleanno, bisognerà attendere il periodo compreso tra il XIV e il XVI secolo; periodo in cui la progressiva rimozione dell’elemento religioso legato al compleanno e la valorizzazione di questo come celebrazione dell’individuo avranno la meglio. Un ruolo importante lo ebbe anche il protestantesimo che mise in discussione il culto dei santi e promosse l’adozione di nomi diversi da quelli canonizzati nel cattolicesimo. Questo fece sì che fosse accordata maggiore attenzione al compleanno in sé, indipendentemente dalle feste dei santi. Ancora oggi, il compleanno vuole dire la celebrazione dell’individuo in quanto tale, mentre l’onomastico accomuna a un santo persone che hanno lo stesso nome. Il compleanno, dunque, come apoteosi dell’individualità. Con tanto di torte guarnite di candeline e canzoncine dedicate.
A tal proposito sembra che sia stato lo scrittore tedesco Goethe a inventare la torta attuale, quando il 28 agosto 1802, festeggiò il cinquantatreesimo anno addobbando un dolce con cinquantatré candeline. Lo stesso Goethe menziona abbondantemente i compleanni dei protagonisti dei suoi capolavori, ad esempio, Le affinità elettive e il Wilhelm Meister; cosa che fino a qualche cinquantennio prima sarebbe stata impensabile. Più tarda è invece l’invenzione del motivetto Happy Birthday to you (musica del 1893, parole del 1924) che si deve alle sorelle Milldred J. Hill e Patty Smith Hill, maestre d’asilo del Kentucky. Un secolo fa appena. Anche se oggi ci sembra che esistano da sempre.
Chi pensasse che oggi tutti calcolano il compleanno allo stesso modo, dovrebbe, però, ricredersi.
È notizia di pochi giorni fa («La Repubblica» del 10 dicembre 2022, p. 29) che il parlamento della Corea del Sud ha approvato una nuova legge sull’età, che entrerà in vigore a metà 2023. Questa legge allineerà definitivamente il metodo di calcolo dell’età coreano a quello internazionale. Fino a oggi, infatti, in Corea del Sud era possibile computare l’età in tre modi diversi: 1) Cominciando il calcolo a partire dalla data di nascita di una persona (come nel resto del mondo); 2) Attribuendo un anno alla nascita (il metodo più comunemente adoperato nella vita quotidiana); 3) Stabilendo che tutti alla nascita hanno zero anni, ma aggiungendo un anno ogni primo gennaio, indipendentemente dal giorno in cui si è nati (metodo adoperato per il servizio militare e o per stabilire l’età legale per bene e fumare).
Come è evidente, la coesistenza dei tre metodi ha causato finora una certa confusione nella vita di tutti i giorni e si dubita che un provvedimento legislativo possa risolvere d’un tratto modi di interpretare l’età sedimentati nel tempo.
Come ricorda Gianluca Modolo, autore dell’articolo citato, ci sono varie teorie sull’origine dei vari metodi. «Secondo alcuni, il compimento di un anno alla nascita tiene conto del tempo trascorso nel grembo materno. Altri lo collegano ad un antico sistema numerico asiatico che non prevedeva il concetto di zero. Aggiungere un anno ogni 1° gennaio, secondo altri esperti, deriva dal fatto che gli antichi coreani collocavano il loro anno di nascita all’interno del ciclo del vecchio calendario cinese e tendevano ad ignorare il giorno della loro nascita ma aggiungevano semplicemente un anno intero al primo giorno del calendario lunare».
Le vicende narrate ci insegnano che perfino un aspetto solitamente dato per scontato come “compiere gli anni” non è affatto “naturale”, ma è socialmente determinato. Del resto, insegnamento principe delle scienze sociali è che lo stesso senso comune è un prodotto sociale. Ma non ce ne accorgiamo perché, appunto, lo diamo per scontato.