Quali sono gli scopi del carcere? Secondo il senso comune e diverse carte costituzionali, la prigione ha due obiettivi essenziali: la deterrenza e la rieducazione sociale. Assolve questi due obiettivi? No! Non deterre perché le prigioni sono “università del crimine” come sosteneva già l’anarchico Kropotkin, luoghi che abbrutiscono reprimono, abbattono l’individuo e in cui i detenuti apprendono dai loro sodali di sventura le motivazioni e le tecniche per commettere crimini più gravi di quelli per i quali sono stati imprigionati (in altre parole, le carceri creano recidivi). Non rieducano perché le prigioni, sottoponendo i loro “ospiti” a una umiliazione continua e a una disumanizzazione costante, li privano di ogni sentimento o forza di volontà, riducendoli ad automi inadatti alla vita sociale.
Sarebbero sufficienti queste considerazioni per chiedere a gran voce l’abolizione delle prigioni. Del resto un’istituzione che non fa quello che è creata per fare non dovrebbe essere abolita (un po’ come i cosiddetti “enti inutili”, che suscitano tanto scandalo nell’opinione pubblica)? Ora, però, disponiamo anche di ricerche empiriche che ci mostrano, con la forza dei numeri, la verità delle considerazioni prima proposte. Pensiamo alla recidiva. Come fanno notare i curatori del recente pamphlet Abolire il carcere,
se la recidiva è bassa significa che il sistema ha funzionato, che la pena ha avuto un senso sia in termini di maggiore sicurezza per la collettività sia di abbattimento dei costi futuri; se la recidiva è alta il sistema si rivela un fallimento, perché non fa altro che perpetuare le stesse dinamiche e “liberare” persone che continueranno a commettere reati, tornando presto dentro.
Ebbene, una (rara) ricerca del 2007, relativa a dati del 1998, ha dimostrato che, tra coloro che scontano la pena interamente in carcere, quasi sette condannati su dieci (il 68,45%) commettono un nuovo reato dopo aver scontato la pena in carcere, mentre la recidiva di chi non è stato mai in carcere, anche se condannato, è del 16%. Come dire che il carcere non deterre affatto, ma incoraggia il crimine.
Allora, ci si potrebbe domandare, perché il carcere sopravvive. Perché esso assolve una serie di funzioni non dichiarate (latenti, direbbero i sociologi) tra le quali possiamo indicare almeno le due seguenti, le più importanti secondo me:
1) Soddisfare il nostro bisogno di vendetta e di afflizione del reo che la legge non permette di soddisfare direttamente (la vendetta, ricordiamolo, è ufficialmente condannata nei paesi civili).
2) Fornire occupazione e carriere a migliaia di persone che altrimenti non avrebbero lavoro (poliziotti penitenziari, giudici, magistrati, psicologi, assistenti sociali, educatori, direttori di carcere ecc.).
Un po’ cinico, forse. Ma questi sono solo due dei motivi per cui il carcere, probabilmente, non perirà mai.
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