Le scienze sociali hanno, da sempre, la capacità di riportare credenze consolidate e luoghi comuni alle loro radici storico-culturali e di mostrane il carattere di costruzione sociale, troppo spesso trascurato.
Che cosa c’è di più ovvio, almeno apparentemente, che credere che il Capodanno inizi universalmente il primo gennaio? Eppure, la storia e l’antropologia culturale ci dicono che le cose non stanno in questi termini o, almeno, non lo sono sempre state.
Come riferisce lo studioso di antropologia Claudio Corvino,
quando il Cristianesimo si impiantò nell’Impero [romano], i Romani facevano cominciare l’anno con le calende di gennaio, il primo giorno di questo mese, controllato dal dio eponimo Giano, che presiedeva il delicato passaggio da un anno all’altro. Martino di Braga (morto nel 580), basandosi sul passo del Genesi secondo cui Dio “separò la luce dalle tenebre” (1, 4-5), osservò che, se la separazione implicava anche l’eguaglianza (un padre giusto dividerà sempre equamente le cose), allora l’inizio del mondo e quindi dell’anno non poteva che essere il 21 marzo, giorno equinozio di primavera, quando le ore di luce e di tenebra sono equivalenti. In Francia, invece, e nei suoi domini, si preferì la Pasqua come Capodanno. Essendo una festa mobile, che si celebrava la domenica successiva al primo plenilunio dopo il 21 marzo, aveva il fondamentale vantaggio di non poter essere collegata ad alcuna festa pagana. Ma non fu mai un uso universale e nella stessa Francia fu abbandonato quando Carlo IX, nel 1564, decise di ritornare al primo gennaio.
In quel che rimaneva dell’impero bizantino, invece, il Capodanno si festeggiava il 1° settembre, mentre a Roma e nei suoi possedimenti si preferiva il 25 dicembre. Ma già nella vicina Firenze era il 25 marzo e nella serenissima Repubblica di Venezia, fino alla sua caduta nel 1797, il 1° marzo.
Una delle caratteristiche dei fatti sociali è che, una volta istituzionalizzati, tendono a offrirsi allo sguardo umano come cose-che-sono-sempre-state-così-e-non-altrimenti, come realtà esterne “dure”, niente affatto costruite e, dunque, immodificabili, destinate all’eternità. La sociologia, in virtù di una sua peculiare indole “archeologica”, scava al di là di queste fondamenta incrollabili che si offrono al nostro sguardo, rivelandone il carattere artificiale. Ciò che l’umanità costruisce, il sociologo può decostruire, rendendo in questo modo un grosso favore alla società, consapevole che le sue realizzazioni non sono fisse, ma plasmabili a volontà.
E sa proposito di festività, sapete che l’epifania non esiste in parti del mondo come Regno Unito e Stati Uniti? Un altro duro colpo a ciò che passa per senso comune nella nostra società italiana.
Riferimento
Corvino, C., Petoia, E., 2004, Storia e leggende di Babbo Natale e della Befana, Newton Compton Editore, Roma, p. 105.