Nel repertorio retorico saccheggiato dai politici di varia caratura è onnipresente il richiamo ai “nostri figli”, dispositivo quanto mai persuasivo per conferire valore a una proposta politica o suggerire una linea di condotta.
Il richiamo ai figli è particolarmente adoperato quando ciò che si vuole proporre non è destinato ad avere un impatto immediato sulla società e correrebbe il rischio di non essere percepito adeguatamente dai destinatari della proposta. Esempio: “Dobbiamo fare X, altrimenti a pagarne le conseguenze saranno i nostri figli”. Tale richiamo è particolarmente attuale in riferimento alle questioni ecologiche, spesso non avvertite come urgenti e tematizzate dal cittadino medio solo in un’ottica futuristica.
Questo strumento retorico può servire, però, anche a gettare fumo negli occhi allontanando nel tempo le conseguenze di un’azione, i cui effetti “poco altruistici” saranno già percepibili nell’immediato, ma che il politico ha tutto l’interesse di “mascherare”, appunto, con il richiamo ai “nostri figli”. In questo modo, ad esempio, si può legittimare la costruzione di una grande opera, che porterà utili immediati al politico e al suo gruppo, dichiarando che a trarne beneficio saranno soprattutto “i nostri figli”, quando tutto ciò che interessa davvero sono i profitti realizzabili a breve.
La retorica dei “nostri figli” può servire anche a legittimare l’adozione di politiche paternalistiche, che pur avendo una connotazione positiva agli occhi del pubblico, sono di per sé contestabili o dagli effetti dubbi. Pensiamo a tutte le politiche sulle droghe che, in nome del benessere dei “nostri figli”, proibiscono da anni il consumo di sostanze che possono avere anche un utilizzo benefico.
Infine, la figura dei “nostri figli” serve a valorizzare specularmente quella del “buon padre di famiglia”, tanto amata dal nostro codice civile e da chi pretende di apparire saggio. Il “buon padre di famiglia” richiama i criteri di diligenza e prudenza che dovrebbero informare l’assunzione di decisioni buone e giuste. In realtà, essa deriva dal latino pater familias che indica una forma di famiglia – quella, appunto, degli antichi romani – che, come fa notare Eva Cantarella, «era un gruppo all’interno del quale si commettevano soprusi e violenze non da poco: il padre poteva sottoporre i discendenti (per non parlare della moglie) a punizioni fisiche, in casi estremi poteva metterli a morte, decideva chi poteva sposarsi e con chi, poteva diseredare i figli senza doverlo motivare… Il padre di famiglia alla romana, insomma, è una figura grazie al cielo scomparsa».
In conclusione, la figura tanto apprezzata del pater familias rimanda a un mondo patriarcale dal quale il nostro tempo cerca in ogni modo di prendere le distanze, ma che ossessivamente ci viene riproposto come modello da prendere ad esempio. Si tratta di una figura rispetto alla quale tendiamo a reagire positivamente in maniera irriflessa, ma che nasconde mille insidie di cui sarebbe opportuno essere consapevoli.