Afferma Albert Memmi in un suo libro sul razzismo:
Siamo quasi tutti tentati dal razzismo […]. Vi è in noi un terreno preparato a ricevere e far germogliare i semi del razzismo anche alla minima disattenzione. Rischiamo di comportarci da razzisti ogni volta che ci crediamo minacciati nei nostri privilegi, nei nostri beni o nella nostra sicurezza. Ci comportiamo da razzisti per ristabilire un equilibrio che crediamo perduto o in procinto di esserlo (Memmi, A., 1989, Il razzismo. Paura dell’altro e diritti della differenza, Costa & Nolan, Ancona-Milano, p. 19).
Le parole di Memmi sono estremamente attuali in questi tempi di coronavirus. Credendoci minacciati nel nostro ordine sociale, negli stili di vita, nella nostra sicurezza, nel nostro equilibrio, abbiamo la tentazione di puntare il dito su categorie sociali, nazionali, geografiche, etniche, alla ricerca di un untore su cui far ricadere la colpa di tutto e su cui riversare odio, rabbia, saliva d’ira e l’immancabile indignazione. Ciò che colpisce è la mutevolezza, quasi umorale, degli esiti della nostra ricerca, che, come un pistolero impazzito, sposta nervosamente la mira su questo o quel soggetto da un giorno all’altro.
In principio – lo sappiamo – furono i cinesi, genia esotica e incomprensibile quanto poche, così distante da noi (anche se vicinissima se si pensa al numero di immigrati cinesi nel nostro paese) quanto a lingua (non sanno pronunciare nemmeno le nostre “r”!), cultura, organizzazione sociale e politica, e naturalmente alimentazione (topi, pipistrelli, pangolini e chissà quante altre specie animali nemmeno conosciute). Gli stessi cinesi che vivono “sotto dittatura”, prigionieri di un governo che ha prima nascosto la reale diffusione del virus nella provincia di Hubei per poi metter su, con stupore di tutti e in quattro e quattr’otto, la più completa macchina organizzativa per contenere e debellare la minaccia patogena, come noi, forse, non saremmo mai in grado di fare. Lo stesso governo che oggi si permette di donarci mascherine e altri dispositivi di protezione, nemmeno fossimo noi la Cina.
Dopo la diffusione dei virus nell’Italia settentrionale, gli untori sono diventati gli italiani del Nord: milanesi, lodigiani, bergamaschi, veronesi, ma, più nel dettaglio, i cittadini di Comuni come Casalpusterlengo, Castelgerundo, Castiglione D’Adda, Codogno ecc. diventati improvvisamente escrescenze virulente dell’Atene appestata narrata da Tucidide. Li abbiamo incolpati di viaggiare in Sicilia per diporto, di voler infettare Ischia e Stromboli, di ostinarsi ad affittare case e prenotare alberghi al Sud a dispetto di ogni diniego. Li abbiamo guardati con sospetto e rancore, minacciando rivalse per questioni risorgimentali mai sopite. In alcuni giorni la scritta “Non si affittano case ai settentrionali” – anche se totalmente fake – è rimbalzata di social in social a rovesciare ironicamente quello che negli anni Cinquanta e Sessanta del XX secolo accadeva realmente in un Nord, impreparato ad accogliere migliaia di meridionali emigrati alla ricerca di un lavoro. Proprio come noi, oggi, siamo impreparati ad affrontare l’“emergenza coronavirus”.
Dopo la diffusione del “mostro” in tutta Italia, nuovo rovesciamento: gli untori sono diventati i giovani (e meno giovani) meridionali residenti al Nord, accusati di egoismo, indifferenza e faciloneria, incuranti degli avvertimenti di amministratori, politici e virologi, e riversatisi, come cavallette bibliche, nelle loro città d’origine a impestare genitori, fratelli non ancora emigrati, nonni, parenti e amici tutti, senza pietà e solo per poter mangiare il piatto locale a cui le mamme li hanno abituati da piccoli. E così il Nord, in un ribaltamento tanto rapido quanto ironico, si è immediatamente preso la rivincita, mentre i consanguinei dei migranti di ritorno imprecavano hate speeches, reali e virtuali, contro gli ungitori di famiglia incapaci di rimanere “su” e rispettare la situazione del momento. Per punizione, gli amministratori del Sud li hanno costretti a quarantene di massa, che però non si sa se tutti hanno onorato.
Con i provvedimenti governativi d’emergenza estesi recentemente a tutta l’Italia, i nuovi untori sono diventati i giovani tout court, né meridionali né settentrionali, bamboccioni viziati e menefreghisti, incapaci di rinunciare alla serata con gli amici, alla festa di compleanno del coetaneo, al rave party dell’ultima ora. Soprattutto, completamente irriguardosi nei confronti dei nonni, che pure sono quelli che, secondo lo stereotipo, li hanno viziati e rimbecilliti a furia di caramelle elargite di nascosto ai genitori, paghette aggiuntive a o sostitutive di quelle dei genitori, indulgenze di ogni tipo. Gli stessi nonni che ormai rappresentano (a gratis!) le vere (ma misconosciute) politiche familiari del paese e che, in cambio di tutti i loro sforzi, ricevono ringraziamenti di maniera e virus mortali di sostanza. Parliamoci chiaro, dicono i benpensanti: se non fosse stato per i giovani, il virus non si sarebbe esteso a ogni angolo del paese, non se ne andrebbe in giro a banchettare saltando di ospite in ospite, forse lo avremmo già annientato. Ah, questi giovani! (diciamolo con una mano infilata di traverso in bocca).
Non facciamo i furbi, però. Non fingiamo di dimenticare che per gli altri – i francesi, i tedeschi, gli americani, gli israeliani e il resto del mondo – i veri untori siamo noi, gli italiani. È a noi che gli altri consigliano di stare a casa, vietano l’ingresso nel loro paese, l’atterraggio dei nostri aerei, annullano la vacanza alle Mauritius o ai Caraibi prenotata da un anno, la gita scolastica, la partita di Champions e il viaggio d’affari. Siamo noi gli appestati per gli altri, gli indesiderabili, come testimonia anche il crollo del turismo in Italia. Nessuno vuole più avere a che fare con noi, almeno per il momento, perché gli italiani ungono, infettano, contagiano. I veri untori – secondo gli altri – siamo noi, anche se non ci fa piacere sentircelo dire.
Continua Albert Memmi nel libro citato in precedenza:
In effetti la tentazione è frequente, e il razzismo è sicuramente una delle risposte più diffuse nel mondo umano. Sta a noi non soccombere, esorcizzare la paura, analizzare la minaccia, il più delle volte illusoria, difenderci altrimenti che con l’invenzione distruttrice dell’altro. Ma è vero che non si guadagnerà niente a chiudere gli occhi su questo aspetto del reale umano. Al contrario, è facendone l’esatto inventario che possiamo superare di riuscire a vincerlo.
Come non condividere queste parole in rapporto alla situazione che stiamo vivendo oggi?
Pingback: Gli stregoni dell'Africa e quelli dell'Occidente | romolo capuano