Chi ha un’idea mitologica della giustizia, chi immagina la macchina giudiziaria come una divinità che, nella sua infallibile saggezza, punisce i “cattivi” e tutela i “buoni” dovrà ricredersi dopo aver letto i dati che l’associazione Errorigiudiziari.com, da tempo impegnata sulla questione degli innocenti che finiscono in carcere, ha offerto il 7 aprile scorso sugli errori giudiziari in Italia, in particolare sul numero di vittime di ingiusta detenzione – ossia, coloro che subiscono una misura cautelare detentiva, come la custodia cautelare o gli arresti domiciliari, e poi vengono assolti –, il numero di errori giudiziari veri e propri – ossia, di persone ingiustamente condannate con sentenza definitiva e poi assolte in seguito a processo di revisione –, la spesa sostenuta dallo Stato per indennizzare e risarcire le vittime della cattiva giustizia.
Mettendo insieme dati di varia provenienza, Benedetto Lattanzi e Valentino Maimone, fondatori dell’associazione e autori del libro Cento volte ingiustizia. Innocenti in manette (Mursia Editore), offrono un quadro drammatico della situazione, per lo più misconosciuta dai non addetti ai lavori e dai giustizialisti a ogni costo.
In trent’anni, dal 1991 al 31 dicembre 2020, i casi di vittime di ingiusta detenzione e di errori giudiziari in senso stretto in Italia sono stati 29.659, quasi 1000 l’anno, per una spesa complessiva dello Stato, tra indennizzi e risarcimenti veri e propri, di 869.754.850 euro circa (circa 28 milioni e 990 mila euro l’anno).
La stragrande maggioranza di queste vittime (29.452) hanno subito una ingiusta custodia cautelare per una spesa complessiva superiore ai 794 milioni e 771 mila euro in indennizzi. Nel 2020, i casi di ingiusta detenzione sono stati “appena” 750, una cifra inferiore alla media ordinaria, che, però, si spiega probabilmente con la crisi “virale” che ha investito il nostro paese e che ha rallentato l’attività giudiziaria a tutti i livelli, anche a quello delle Corti d’Appello incaricate di smaltire le istanze di riparazione per ingiusta detenzione.
Per quanto riguarda gli errori giudiziari veri e propri, nello stesso arco temporale (1991-2020), il totale è di 207, con una spesa in risarcimenti di 74.983.300,01 euro. Limitandoci, invece, al 2020, gli errori giudiziari sono stati in tutto 16 (negli ultimi anni dieci anni il numero complessivo degli errori giudiziari si è mantenuto quasi sempre sopra quota 10).
Infine, sempre per il 2020, le tre principali città con il maggior numero di indennizzati sono state: Napoli, Reggio Calabria e Roma; mentre le città dove lo Stato ha speso di più in risarcimenti sono state: Reggio Calabria, Catanzaro e Palermo.
Un sociologo cinico potrebbe commentare che qualsiasi sistema complesso, come la giustizia, tende a produrre inevitabilmente un certo numero di “falsi positivi” (in questo caso: persone ingiustamente detenute o condannate benché innocenti) e di “falsi negativi” (in questo caso: persone assolte benché colpevoli, un aspetto di cui Lattanzi e Maimone non si occupano, ma su cui sarebbe interessante proporre qualche riflessione).
Si tratta di quelli che il sociologo Charles Perrow, in riferimento ai sistemi tecnologici complessi, chiama normal o system accidents, ossia “incidenti” dalle conseguenze catastrofiche non intenzionali che scaturiscono dalla interazione tra le parti del sistema.
Per Perrow, i normal accidents sono relativamente rari. Nel sistema della giustizia italiano, invece, gli errori giudiziari – veri e propri failures del sistema – sono frequenti e sistematici, a suggerire una patologia incurabile, un cancro inestirpabile con cui facciamo i conti ogni giorno e che devasta centinaia di vite ogni anno.
Una delle conseguenze più vischiose di tali malfunzionamenti della giustizia è lo stigma che rimane addosso agli innocenti anche dopo aver ricevuto una piena assoluzione. “Non c’è fumo senza arrosto” sembra pensare il senso comune. E questo fumo è ciò che rimane attaccato alla vittima di errore giudiziario per molto tempo, impedendole di trovare lavoro, famiglia, amore.
Per questo l’opera di Lattanzi e Maimone è sommamente meritoria: informando su questo aspetto particolare del sistema giudiziario riescono a dare, in qualche modo, dignità e voce alle sue vittime, che non devono più avere vergogna di ammettere: “Sì, sono stato in carcere. Anche se ero innocente!”.