L’Analisi Transazionale viene definita dai suoi cultori come “una teoria della personalità e una psicoterapia sistematica ai fini della crescita e del cambiamento della persona”. Si tratta di un orientamento in voga fin dagli anni Cinquanta del XX secolo familiare a molti psicologi. Gli assunti di fondo dell’Analisi Transazionale sono che ogni persona nasce OK (qui è evidente un ottimismo tipicamente americano), ognuno ha capacità di pensare (appunto) e ognuno decide il proprio destino e ha la facoltà di cambiare le proprie decisioni. Insomma, l’Analisi Transazionale propone una teoria della persona decisamente positiva che offre a tutti la possibilità di cambiare in meglio, senza cedere a pessimismi o fatalismi di sorta.
Senza addentrarci troppo nel suo apparato concettuale, mi limito a segnalare uno dei capisaldi dell’Analisi Transazionale: la nozione di “copione”, termine con il quale si intende “un piano di vita che si basa su una decisione presa durante l’infanzia, rinforzata dai genitori, giustificata dagli avvenimenti successivi, e che culmina in una scelta definitiva”. Ognuno di noi possiede un copione che orienta le nostre scelte decisionali, anche se non ne siamo consapevoli. Nella maggior parte dei casi, si tratta di copioni banali, ma in altri di copioni tragici, nel senso che possono avere delle conseguenze drammatiche per l’individuo. Facciamo qualche esempio.
Chi ha un “copione mai” non riesce mai a fare o avere ciò che desidera e decide sempre di non perseguire i propri obiettivi fino in fondo. Qualcosa glielo proibisce continuamente. Un tipico caso è rappresentato dall’uomo che, attratto da una donna, si dice: «È inutile che ci provi con lei. Non riuscirei mai a conquistarla». Un altro caso è quello dell’aspirante a un impiego pubblico che decide di non partecipare a nessun concorso perché tanto «non ce la farei mai». Per quanto si sforzi, chi segue il “copione mai”, farà sempre in modo da fallire nelle proprie aspirazioni.
Un modello opposto è il “copione sempre”, tipico di chi ha deciso che deve continuare a fare sempre la stessa cosa: lavorare sempre, fare sport sempre, stare sempre con la stessa persona, sopportare sempre la stessa situazione gravosa ecc. Queste persone aderiscono fedelmente al proprio copione da cui non si distaccano mai, spesso a loro danno.
Allo stesso modo, esistono copioni fino a («Devo continuare a lavorare ininterrottamente fino a quando ce la farò»), dopo («Potrò divertirmi solo dopo aver fatto tutti i compiti»), quasi («Ho guardato quasi tutto il film ieri sera») e altri ancora.
La mia impressione è che anche nei tifosi di calcio più appassionati esistano copioni, diversi da tifoseria a tifoseria, ma anche spesso da tifosi a tifosi all’interno della stessa tifoseria, che emergono in continuazione e in maniera sistematica, finendo con il dettare il modo in cui il calcio viene da loro percepito e interpretato. Ne segnalo qualcuno. Alcuni tifosi hanno il “copione sono loro che rubano”. In base a questo copione, la propria squadra non perde mai per demeriti o perché gli altri sono più forti, ma perché il “palazzo”, i “poteri forti”, la “classe arbitrale” congiura sistematicamente alle loro spalle, rendendo vano ogni tentativo di successo. In alcuni casi, questo copione è talmente radicato che ci si può, a ragione, chiedere perché la loro squadra debba continuare a iscriversi al campionato e a competere con le altre squadre, essendo tutto già deciso.
Un altro modello, di segno opposto, è il “copione conta solo vincere”. I tifosi che condividono questo copione sono ossessionati dalla vittoria e la antepongono sempre al bel gioco e al puro sentimento, arrivando a fischiare la propria squadra se perde anche solo una partita nel corso di un campionato. Per essi – gli incontentabili – non conta la bella giocata, ma solo che la propria squadra porti a casa il risultato (anche se arriva al 90° in seguito a un calcio di rigore dubbio o a un autogol), accumuli scudetti e conquisti titoli di ogni tipo. Potremmo anche parlare di “copione del collezionista”.
Un modello interessante e diffuso è il “copione basta che non vincano loro”. Chi ha questo copione gioisce solo per la sconfitta della odiata squadra rivale. A tal punto che si ha l’impressione che la mera vittoria della propria squadra, se non accompagnata dalla contemporanea disfatta dei “nemici”, sia priva di valore e non produca nessuna vera soddisfazione. È un esempio estremo di schadenfreude, termine tedesco che indica il piacere provocato dalla sfortuna altrui.
Infine, segnalo quello che potremmo definire come “copione dell’underdog”, tipico di quei tifosi che, per partito preso, tifano sempre per la squadra sfavorita (underdog, in inglese) e che gioiscono solo quando i “potenti” perdono, indipendentemente da chi siano i potenti di turno. Anche questo è un esempio di schadenfreude, ma meno circoscritto rispetto a quello espresso dal “copione basta che non vincano loro”.
Come detto i copioni sono inconsci. E nascono da decisioni prese nel corso del tempo e via via rafforzate. Nessun tifoso ammetterà mai di avere questo o quel tipo di copione, e si sentirà offeso, probabilmente, se la sua passione dovesse essere ridotta a una facile ricetta psicologica. Ma che le cose stiano così è evidente dalla condotta pratica. Mi riferisco alle celebrazioni per la sconfitta della squadra avversaria di quelli del “copione basta che non vincano loro” e del “copione dell’underdog”; alle sistematiche accuse di corruzione e disonestà alla squadra avversaria di quelli del “copione sono loro che rubano”; alle geremiadi per l’unica sconfitta della propria squadra da parte di quelli del “copione conta solo vincere”. Insomma, i comportamenti contano più delle dichiarazioni di facciata e rivelano nei tifosi copioni di vita molto simili a quelli riscontrati dagli analisti transazionali nei pazienti che vengono da loro in psicoterapia.
Per approfondimenti: Stan Woollams e Michael Brown, 1985, Analisi transazionale. Psicoterapia della persona e delle relazioni, Cittadella Editrice, Assisi.