Nei libri di quell’intellettuale un po’ dimenticato che è stato Vilfredo Pareto si trovano accanto a brano irripetibili, sbiaditi, anzi quasi cancellati dal tempo, irrimediabilmente datati, passaggi frizzanti, attualissimi, che mettono a nudo le viscere della società. E della religione. Provate a leggere il passo seguente, tratto dal suo Compendio di sociologia generale (Einaudi, Torino, 1978, pp. 201-202), dedicato al rapporto tra cattolici e sesso:
È notevole come la religione cristiana, e principalmente la cattolica, mentre riprova i piaceri amorosi, da essi tragga moltissime metafore che usa nelle manifestazioni della fede. Lasciamo pur stare la Chiesa sposa di Cristo, trascuriamo le interpretazioni dell’erotismo del Cantico dei Cantici, per le quali un canto d’amore, piuttosto rozzo e sciocco, diventa l’epitalamio della Chiesa, sposa di Cristo; ma anche le monache sono dette le spose del Signore, ad esso consacrano la verginità e per lui si accendono di un amore, dove il celeste si mesce al profano. Né basta: i santi Padri non sanno discorrere un po’ a lungo senza accennare, sia pure metaforicamente, all’amore; la visione della donna ingombra il pensiero loro e scacciata da una parte, torna da un’altra.
L’ambiguità del cattolicesimo nei confronti della sessualità è un tema attualissimo, rinverdito dalle recenti polemiche sulla pedofilia dei sacerdoti in un’epoca travolta dalla pornografia e dall’erotismo. È sostenibile il celibato oggigiorno? Come è possibile che un prete resista alle tentazioni della carne? È sempre in grado di reprimerle o sublimarle? E perché i preti parlano sempre di amore (per lo più sotto forma di carità)?
Leggere il Compendio di Pareto è ancora oggi affascinante. Le sue pagine traboccano di intuizioni straordinarie come quella riportata. Dovrebbe essere ristampato. Non sfigurerebbe fra tanto ciarpame editoriale.
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