In un post precedente ho presentato il cosiddetto “canone di Morgan”, dal nome dello psicologo Lloyd Morgan il quale, nel 1903, nel suo An introduction to comparative psychology scriveva a proposito degli animali:
In nessun caso è lecito interpretare un’azione come il risultato dell’esercizio di una facoltà psichica superiore, se essa può essere interpretata come il risultato dell’esercizio di una facoltà di livello psicologico inferiore.
Di questa tendenza sovrainterpretativa si hanno numerosissimi esempi, anche contemporanei.
Uno scrittore, oggi dimenticato, che si è soffermato con un po’ di ironia su questa tendenza è Berger Evans (1904-1978), professore di inglese e celebrità televisiva americana, autore di una deliziosa History of Nonsense (tradotta nel lontano 1948 dalla Longanesi con il titolo, alquanto improprio, di Storia dei luoghi comuni), in cui, fra l’altro, smaschera con ironia alcuni luoghi comuni riguardanti le pretese doti soprannaturali degli animali. A proposito dei cani, ad esempio, dice:
È quasi impossibile passare un pomeriggio in un gruppo di rispettabili persone normali della classe media senza dover ascoltare qualche racconto sui poteri soprannaturali dei cani; e la più piccola espressione di dubbio o il minimo tentativo di controbattere suscita un gran coro di proteste. I cani sono sacri nella nostra cultura, e nulla di essi è più sacro della loro abilità a predire il futuro, ad annunciare calamità prossime e a sentire «istintivamente» la morte del padrone o della padrona che in quel momento possono trovarsi lontano.
Le storie di cani fluiscono attraverso le notizie di cronaca come portate da una corrente senza fine. Un giorno leggiamo che un cocker spaniel, mandato in patria dal Pacifico dall’amico di un motorista di aviazione, riconobbe «intuitivamente» la moglie del suo padrone. Il giorno dopo ecco un edificante racconto di un cane dall’occhio veggente che, ad un concerto, restò seduto «con quieta dignità» mentre si suonava il «God Save the King», ma «balzò su tutte e quattro le zampe e restò sull’attenti col resto del pubblico» mentre si suonava il «The Star-Spangled Banner».
Ma la chiaroveggenza dei cani si manifesta più di frequente nel leggere il carattere degli uomini e particolarmente nell’intuire la cattiveria nascosta. Così, mentre gli sciocchi personaggi umani in «Little Dorrit» sono ingannati dalla soavità di Rigaud, il cagnolino lo riconosce «istintivamente» per quello che è e, malgrado le punizioni del suo credulo padrone, persiste nei suoi attacchi ammonitori finche il cattivo è smascherato.
Né simili episodi sono limitati alla letteratura. Una signora di Chicago scrisse con trionfante indignazione ad una cartiera per dire che il ringhio dei suo bulldog l’aveva avvertita che l’uomo che andava da lei a comprare la carta da macero era un uomo disonesto. Ella aveva ignorato gli avvertimenti della fedele creatura, ma si era accorta, dopo che il compratore se n’era andato, che questi le aveva dato quattro cents di meno. La ditta promise che avrebbe indennizzato la signora.
I cani riescono anche ad afferrare dei temporanei cambiamenti nel carattere. Albert Payson Terhune ci dice che uno dei suoi cani favoriti «si alzava quietamente dopo il mio secondo o terzo bicchiere e lasciava la stanza». La affezionata bestia, aggiunge Terhune, «sembra che noti e si risenta del sottile cambiamento che avviene in me».
Così sicuro è invero questo mistico potere analitico del cane che non si spiega come mai le banche sciupino del denaro per dispendiosi sistemi d’allarme, quando un cane di guardia alla porta potrebbe subito avvertire non solo dell’ingresso dei ladri, ma anche di falsari, di spacciatori di assegni a vuoto e di imbroglioni. Forse i direttori delle banche non vogliono far sapere agli impiegati quand’è che a pranzo hanno bevuto un bicchiere di troppo.
Come i piccioni, anche i cani sarebbero dotati di una abilità soprannaturale nel trovare la via del ritorno attraverso centinaia di miglia di terreno sconosciuto. I giornali sono pieni di storie di cani miracolosamente presentatisi alla porta di casa di sconcertati padroni che li avevano abbandonati lontano. Contro queste storie, tuttavia, possono citarsi gli annunci sugli oggetti smarriti e trovati degli stessi giornali, che in quasi tutti i numeri portano offerte di compensi per chi trova dei cani che, a quel che pare, non hanno saputo ritrovare la strada di casa dall’isolato vicino. Stefansson, che ha avuto parecchio a che fare coi cani, e con cani allo stato selvaggio come ce ne sono pochi, dice che un cane perduto «raramente ritrova la strada» (pp. 67-70).
Tutti noi abbiamo sentito storie del genere e forse le abbiamo narrate noi stessi. Dal 1948 ad oggi non molto è cambiato, dunque, nel nostro atteggiamento “credulo” nei confronti dei cani e degli animali in generale.
Il canone di Morgan rappresenta il rasoio di Occam dell’etologia e consente ancora oggi, se applicato conseguentemente, di chiarire tante storie in cui gli animali sono protagonisti di eventi apparentemente miracolosi o inspiegabili. Certo, usarlo non è semplice. Inoltre, alcune convinzioni sono talmente radicate nella nostra cultura che è difficile sbarazzarne.
Al “canone di Morgan” ho dedicato un capitolo del mio Aloni, stregoni e superstizioni, che naturalmente vi invito a leggere per non rimanere vittime dei “luoghi comuni” sugli animali descritti da Berger Evans.