Nel mondo dell’illusionismo, è noto cosa significhino hot reading e cold reading. Iniziamo da quest’ultima. Per cold reading si intende un insieme di tecniche induttive utilizzate da maghi, medium, cartomanti ecc., per indovinare e “risolvere” il problema di un cliente. Queste tecniche si basano sulla valorizzazione degli indizi verbali e non verbali forniti dal cliente per ricostruirne il sistema di valori, la provenienza sociale, le preferenze e avversioni, le abitudini di vita, i consumi, i manierismi. Tipico del cold reading è l’andare a pesca di informazioni (fishing for details in inglese), cioè lanciare, a mo’ di esca, un’affermazione vaga in modo che la vittima la riempia di senso. Ad esempio, se un divinatore afferma di “vedere” una persona di nome Antonio nella vita del suo cliente, questi potrà “riempire” il facile vaticinio indicando un Antonio di sua conoscenza (Antonio è un nome piuttosto comune), cosa che confermerà la bontà dei poteri dell’indovino, fornendogli, al tempo stesso, un ulteriore indizio sul quale basare le proprie profezie. Un’altra strategia è detta shotgunning e consiste nel fornire una grande quantità di informazioni in modo che almeno qualcuna sia vera. Ad esempio, se il sensitivo suggerisce che il cliente ha problemi sentimentali, ma che “vede” anche problemi di salute, è molto probabile che faccia centro, anche perché il numero di motivazioni che spingono le persone a consultare un sensitivo sono piuttosto prevedibili. Queste tecniche presuppongono un cliente particolarmente incline a ricercare un senso nelle “rivelazioni” del divinatore. Lo stesso cliente, poi, tenderà, selettivamente, a ricordare solo i casi che confermano le sue credenze e a dimenticare i casi difformi.
Diverso invece il significato di hot reading. In questo caso, il medium o cartomante di turno ha già acquisito una serie di informazioni rilevanti sulla persona di cui dovrà predire il problema o il futuro, sia in fase diagnostica sia in fase prognostica, e deve porgerle al “cliente” in modo da risultare convincente, come se le avesse ottenute per divinazione. Le presunte abilità di maghi e sensitivi spesso si basano semplicemente sul fatto che determinate informazioni sono già state acquisite in partenza o direttamente dal mago o sensitivo o con l’aiuto di un complice. Un esempio letterario di hot reading, lo troviamo, ad esempio, nel Professor Fargo di Henry James, storia di un ciarlatano che sostiene di poter entrare in contatto con i morti attraverso doti medianiche. Fargo è un imbroglione itinerante che, appena arrivato in una nuova città – siamo negli Stati Uniti di fine Ottocento – va a visitare il locale cimitero per impadronirsi dei nomi dei morti e vantare, in seguito, le sue doti divinatorie.
Un altro esempio letterario, questa volta combinato di hot e cold reading, lo troviamo nel Don Chisciotte di Cervantes. Nel secondo volume dell’opera (cap. XXV), Cervantes introduce un curioso personaggio, mastro Pietro, dotato di abilità non comuni e certamente misteriose (almeno inizialmente). Ma chi è Mastro Pietro?
– È un famoso giocoliere – rispose l’oste – che da molto tempo va su e giù per questa parte della Mancia aragonese […] Porta anche con se una scimmia ammaestrata, d’una bravura che non s’è mai vista l’eguale tra le scimmie, e che uno non si può nemmeno immaginare. Perché, se le domandan qualche cosa, sta attenta a quel che le domandano, poi salta sulle spalle del padrone, e accostandosi al suo orecchio gli sussurra la risposta a quello che le hanno domandato, e, dopo, mastro Pietro la ridice forte. Sui fatti passati parla molto di più che sui futuri, e sebbene non sempre e non in tutti i casi ci indovini, il più delle volte non sbaglia; di modo che ci sarebbe da credere ch’abbia il diavolo in corpo. Piglia due reali per domanda, se la scimmia risponde, cioè se risponde il padrone per lei dopo che essa gli ha parlato all’orecchio; e quindi si crede che il nominato mastro Pietro sia ricchissimo. È anche un galantuomo e un buon compagno, che fa la miglior vita del mondo: discorre per sei, e beve per dodici, e tutto a spese della sua lingua, della sua scimmia e del suo teatro.
A questo punto arrivò mastro Pietro, e su una carretta venivano il teatrino e la scimmia, che era grande e senza coda, con le natiche che parevan di feltro, ma non tanto brutta di viso. Don Chisciotte, appena la vide, le domandò:
– Dica un po’ la Signoria Vostra: signora indovina, che pesci si piglia? Che succederà di noi? Ecco qui i miei due reali.
E ordinò a Sancio che li desse a mastro Pietro: il quale rispose per la scimmia, e disse:
– Signore, questo animale non risponde né dà notizie di ciò che deve succedere; dei fatti passati sa qualche cosa, e parecchio dei presenti.
Perdincina! – esclamo Sancio – ma io, perché mi dicano il mio passato, non do neanche un soldo: chi lo può saper meglio di me? E pagare perché mi dicano quel che so, sarebbe una bella sciocchezza. Ma siccome sento che sa dire anche le cose presenti, su, ecco qui i miei due reali; mi dica un po’ il signor scimmiotto, che fa in questo momento mia moglie Teresa e come passa il suo tempo.
Mastro Pietro non volle prendere il denaro dicendo:
– Non si paga anticipato; prima si dà la risposta.
E datasi con la mano destra due colpi sul braccio sinistro, la scimmia con un salto vi fu sopra, e avvicinato il viso al suo orecchio, si mise a boccheggiare battendo i denti lesta lesta. Seguitò a far quel movimento pel tempo che s’impiega a dire un credo, e poi con un altro salto schizzò in terra. Immediatamente mastro Pietro si buttò in ginocchio dinanzi a Don Chisciotte, e abbracciandogli le gambe gli disse:
– Io abbraccio queste gambe come se abbracciassi le due colonne d’Ercole, o resuscitatore insigne dell’ormai dimenticata cavalleria errante! O non mai abbastanza lodato cavaliere Don Chisciotte della Mancia, rianimatore degli afflitti, appoggio dei vacillanti, braccio che risolleva i caduti, sostegno e consolazione di tutti gli infelici!
Don Chisciotte rimase stupefatto, Sancio allibito, il cugino impressionato, il paggio attonito, sbalordito quello del raglio, sorpreso l’oste, e, finalmente, spaventati tutti quelli che udirono le parole del burattinaio, il quale continuo dicendo:
– E tu, o buon Sancio Panza, il miglior scudiero del miglior cavaliere del mondo, rallegrati che la tua brava Teresa sta bene. Ora è dietro a scardassare una libbra di lino, e per esser più preciso ti dirò anche che a sinistra ci ha un boccale sbreccato pieno di vino, con cui si consola della sua fatica.
[…]
– Io ora dico – replico a questo punto Don Chisciotte – che chi legge molto e molto viaggia, vede molto e sa molto. Dico questo, perché chi avrebbe potuto persuadermi che esistono al mondo delle scimmie indovine, come ho visto ora coi miei propri occhi? Perché son proprio io quel Don Chisciotte della Mancia che ha detto questo bravo animale, sebbene si sia un po’ troppo disteso nel far le mie lodi.
[…]
– Tuttavia – disse Sancio – vorrei che da mastro Pietro lei facesse domandare alla scimmia, se è vero quel che le successe nella spelonca di Montesino, perché per conto mio, mi scusi Vossignoria, ma quelle furon tutte malie e falsità, o, per lo meno, cose sognate.
– Potrebbe anche darsi – rispose Don Chisciotte e farò come tu dici, sebbene ci senta un certo scrupolo.
In questo momento arrivò mastro Pietro a cercar Don Chisciotte per dirgli che il teatrino era già pronto, e che Sua Signoria andasse a vederlo, perché meritava. Don Chisciotte gli manifestò il suo desiderio, e lo pregò a domandar subito alla scimmia se certi fatti accaduti nella caverna di Montesino eran veri o se li aveva sognati, perché a lui pareva che tenessero un po’ dell’uno e un po’ dell’altro. Mastro Pietro, senza dir nulla, tornò a pigliar la scimmia, e postala dinanzi a Don Chisciotte e a Sancio, disse:
– Attenta, signora scimmia. Questo cavaliere vuol sapere se certi fatti che gli accaddero in una caverna detta di Montesino furon falsi o veri.
E fattole il solito segno, la scimmia gli saltò sulla spalla sinistra, gli parlò, a quanto parve, all’orecchio, e subito mastro Pietro riferì:
– La scimmia dice che parte dei fatti che la Signoria Vostra vide, o che le successero, nella caverna di Montesino son falsi, e parte verosimili. Questo è quello che sa, e non sa altro su questo argomento, ma se la Signoria Vostra ne vuol sapere di più, il prossimo venerdì risponderà a tutto quello che le sarà domandato. Per oggi ha finito tutta la sua virtù, e, come ha detto, fino a venerdì non la riavrà.
Arrivato a questo punto, il lettore si chiede: come spiegare le doti divinatorie della scimmia di mastro Pietro? Si tratta di vere capacità predittive dell’animale, o c’è una spiegazione più “terrena”? La spiegazione “terrena” c’è, e Cervantes la offre in un capitolo successivo (cap. XXVII):
Chi ha letto la prima parte di questa storia, [… ], si ricorderà di quel Ginesio di Passamonte, a cui Don Chisciotte restituì la libertà insieme con gli altri galeotti nella Sierra Morena, beneficio di cui poi quella gente malvagia e scostumata gli fu così poco riconoscente e lo ricompensò così male. Questo Ginesio di Passamonte, che Don Chisciotte chiamava Ginesino di Parapiglia, fu quello che rubò il ciuco a Sancio; […] Questo Ginesio dopo, temendo di esser trovato dai birri che lo cercavano per gastigarlo delle sue innumerevoli birbonate e dei suoi delitti, che furon tali e tanti che egli stesso ne compose un grosso volume raccontandoli, decise di trasferirsi nel regno d’Aragona, e di bendarsi l’occhio sinistro mettendosi a fare il burattinaio e il prestigiatore, che sapeva far benissimo. Più tardi da alcuni cristiani, che tornavano di Berberia, dove erano stati prigionieri, comprò la scimmia, e le insegnò a saltargli sulle spalle a un dato segno, e a mormorargli o, per dir meglio, a far le viste di mormorargli delle parole all’orecchio. Fatto questo, prima di entrare in un villaggio con la scimmia e col teatro, si informava nel luogo più vicino, o da chi meglio poteva, dei fatti particolari successi in quel villaggio e delle persone a cui eran successi. E tenendoli bene a mente, la prima cosa che faceva era di far vedere il suo teatrino, sul quale una volta rappresentava una storia e una volta un’altra, ma tutte allegre, divertenti e popolari. Poi, finita la rappresentazione, presentava la scimmia, e cominciava a parlare della sua abilità, dicendo al pubblico che essa indovinava tutto il passato e il presente, ma quanto al futuro non ci azzeccava. Prendeva due reali per risposta, ma qualche volta, se si accorgeva che il cliente aveva la tasca mencia, faceva un ribasso. Talora succedeva che nell’arrivare a una casa dove abitavano persone di cui conosceva i fatti, anche se non gli domandavan nulla per non spendere, egli faceva il solito segno alla scimmia, e poi riferiva che essa gli aveva detto la tale e la tal altra cosa, che naturalmente combinava con quello che era successo davvero a quella gente. Con questo mezzo s’acquistava un gran credito, e tutti gli correvan dietro: altre volte, siccome era parecchio intelligente, rispondeva in modo che le risposte andassero d’accordo con le domande; e poiché nessuno gli stringeva i panni addosso per sapere come la scimmia facesse a indovinar le cose, pigliava tutti in giro e riempiva la borsa. Appena entrato nell’osteria, aveva riconosciuto Don Chisciotte e Sancio, e quindi gli era stato facile far rimanere a bocca aperta loro e tutti gli altri avventori
Le doti di mastro Pietro si rivelano dunque un misto di ottima conoscenza delle arti della hot e cold reading, unita a varie abilità truffaldine e relazionali. Mastro Pietro ricorre dapprima alla hot reading (“… si informava nel luogo più vicino, o da chi meglio poteva, dei fatti particolari successi in quel villaggio e delle persone a cui eran successi”) per poi procedere con la cold reading (“… siccome era parecchio intelligente, rispondeva in modo che le risposte andassero d’accordo con le domande”). Nel caso specifico, mastro Pietro, con il nome di Ginesio di Passamonte, aveva già conosciuto, non essendo riconosciuto, sia Don Chisciotte sia Sancio Panza. Gli era risultato dunque facilissimo “predire” informazioni sulla loro identità. Quando poi i due gli chiedono lumi sulle avventure di Don Chisciotte nella caverna di Montesino, avventure nel corso delle quali Don Chisciotte pensava di aver avuto una conversazione con personaggi fantastici, mastro Pietro trova facile offrire una risposta che accontenta le aspettative del suo “cliente” confermando le sue convinzioni (“perché a lui pareva che tenessero un po’ dell’uno e un po’ dell’altro”). Al tempo stesso è abile nel rimandare al venerdì successivo una risposta più completa in modo da guadagnare tempo in vista di un nuovo eventuale incontro (“… se la Signoria Vostra ne vuol sapere di più, il prossimo venerdì [la scimmia] risponderà a tutto quello che le sarà domandato. Per oggi ha finito tutta la sua virtù”). Il tutto è favorito dall’atmosfera giocosa e allegra che mastro Pietro crea con il suo teatrino, che dispone gli spettatori ad accogliere le sue parole senza troppe resistenze critiche.
Insomma, oggi come un tempo, le tecniche di maghi e sensitivi rimangono sempre le medesime. Come rimane sempre la medesima la straordinaria inclinazione dell’uomo a essere ingannato.
Fonte: Cervantes, M. de, 1991, Don Chisciotte, Mondadori, Milano, vol. II (traduzione di Ferdinando Carlesi)