Ha fatto il giro d’Italia il cartello diffamatorio che un imprenditore, laureato, quarantenne, di Vimercate, comune della provincia di Monza e della Brianza, ha affisso su un idrante del parcheggio di un centro commerciale di Carugate, nel Milanese, nel quale la sua auto era stata multata per aver occupato un posto riservato ai disabili. Ecco il contenuto del cartello:
A te handiccappato che ieri hai chiamato i vigili per non fare due metri in più vorrei dirti questo: a me 60 euro non cambiano nulla ma tu rimani sempre un povero handiccappato. Sono contento che ti sia capitata questa disgrazia.
Dopo l’individuazione dell’uomo grazie alle telecamere a circuito chiuso del centro commerciale, la procura di Monza ha aperto una indagine per diffamazione aggravata contro ignoti. Il questore di Milano ha parlato di “parole violente e lesive della dignità delle persone con disabilità”. Numerosi cittadini e rappresentanti di associazioni hanno manifestato sdegno e definito il gesto incivile. Molti si sono detti sorpresi del fatto che il responsabile della vicenda sia un laureato, sia per gli errori ortografici contenuti nel cartello (la parola “handiccappato” scritta con due “c”) sia perché l’opinione comune vuole che le persone istruite siano “immuni” da questo genere di inciviltà. Questo luogo comune è particolarmente pervicace e assume varie forme.
Periodicamente, intellettuali e pensatori sbraitano contro laureati incapaci di mettere insieme poche parole in un italiano decente, dimenticando che l’Università fa poco per promuovere le competenze relative alla scrittura dei propri studenti. Ricordo che, in tempi di elezioni politiche, parecchi si dicono stupefatti quando apprendono che un partito populista è stato votato “anche dai laureati”. Ci si meraviglia che i laureati dicano parolacce e si esprimano in dialetto. Dove, però, il luogo comune tiene di più è in ambito criminologico. Il mito vuole che i delinquenti siano fondamentalmente ignoranti e che l’istruzione preservi dalla tentazione del crimine. In effetti, se si scorrono le statistiche del Ministero della Giustizia relative ai “Detenuti presenti per titolo di studio”, ci si rende conto che, al giugno 2017, su 56.919 detenuti (italiani e stranieri) presenti nelle nostre carceri, solo 581 sono laureati, 3.840 hanno la licenza di scuola media superiore, mentre 662 sono analfabeti, 1.044 sono privi di titolo di studio, 5.631 hanno la licenza elementare e 16.912 la licenza di scuola media inferiore. Ciò significa che solo il 7,7% circa della popolazione penitenziaria italiana attuale ha almeno un diploma di scuola media superiore.
La convinzione, dunque, secondo cui ignoranza e criminalità vanno a braccetto è, fino a un certo punto, giustificata. Non del tutto, però.
Già il padre della criminologia italiana Cesare Lombroso, a cavallo tra il XIX e il XX secolo, faceva notare che esistono vari tipi di reato che richiedono una istruzione generale e specifica, specialmente tecnica, di non poco conto, tanto che il criminale che vuole eccellere in essi deve essere molto abile e competente. Come riassume il criminologo Hermann Mannheim nel suo imponente Trattato di criminologia comparata:
Le complicate transazioni finanziarie, le falsificazioni ordinarie o di opere d’arte, lo spionaggio, e molte altre forme di reati del colletto bianco richiedono non solo una intelligenza superiore alla media, ma anche cognizioni specializzate superiori a quelle degli ordinari cittadini rispettosi della legge, o a quelle della media degli scassinatori, dei borsaiuoli, dei ladri di negozi o di simili gruppi a bassa abilità.
Oggigiorno, l’esecuzione di reati finanziari presuppone una conoscenza del funzionamento dei mercati e delle borse che pochi, anche tra le persone considerate colte, posseggono. Stesso discorso si può fare per i crimini informatici e per le azioni degli hacker: in alcuni casi, si tratta di possedere capacità e competenze che solo una élite di individui normalmente possiede. Si può dire quasi che l’ignoranza preservi dal commettere certi reati. Se l’ignoranza sembra condurre al crimine, dunque, anche competenze, conoscenze e saperi possono produrre lo stesso risultato. Ciò non significa che l’istruzione debba essere criminalizzata, ma semplicemente che l’ignoranza non è l’unica variabile ad andare a braccetto con la criminalità. E con l’inciviltà nei confronti delle persone con disabilità.
Per altri miti sulla criminalità, rimando, come sempre, ai miei Delitti e 101 falsi miti sulla criminalità.