Si crede comunemente che chi guarda da un’altra parte quando incrocia un mendicante che chiede l’elemosina sia un individuo cinico e indifferente, privo di cuore, senza un briciolo di umanità. Chi guarda altrove è spesso oggetto delle invettive dei moralisti, che lo accusano di ogni nefandezza. “È l’indifferenza che condanna il mondo” tuonano questi accigliati, esortando a fissare gli occhi negli occhi dell’altro, a riconoscere la sua umanità.
In realtà, varie ricerche psicologiche hanno dimostrato che tale condotta rappresenta un meccanismo di difesa dal rischio di essere eccessivamente coinvolti nella sofferenza altrui. Spesso, anzi, sono proprio le persone più sensibili a distogliere lo sguardo per non cadere vittime della loro stessa umanità. Ognuno di noi può empatizzare solo con un numero ristretto di persone. Se ciò accadesse con tutti, la vita sarebbe semplicemente insopportabile. Nessuno riuscirebbe a vivere portando dentro di sé le sofferenze del mondo intero.
Allo stesso modo, distogliamo lo sguardo quando siamo testimoni di un incidente stradale mortale, quando una persona riporta ferite lancinanti, quando abbiamo davanti a noi il corpo privo di vita di una persona cara.
In tutti questi casi, non è l’indifferenza, ma il rischio emotivo derivante da un eccesso di empatia a determinare il nostro comportamento evitante.
Evitiamo i nostri simili non perché siamo dei mostri, ma perché siamo umani.