La storia e la filosofia degli antichi greci e romani sono considerate il fondamento pedagogico della nostra cultura. Prova ne è che la scuola più “formativa” per eccellenza in Italia – il liceo classico – ha nell’insegnamento del latino e del greco antico (e del patrimonio culturale corrispondente) il suo zoccolo duro. In realtà, greci e romani spesso propongono modelli di comportamento che oggi troveremmo orrendi. Ad esempio, Aristotele riteneva che gli schiavi fossero tali per natura e giudicava che le donne fossero “ovviamente” inferiori agli uomini. Molti scritti di autori latini sono pieni di oscenità e insulti che, di solito, non vengono fatte “studiare” ai giovani discenti liceali.
Non molti sanno che nemmeno la vita politica degli antichi era immune da gravi pecche. Ad esempio Svetonio, nelle sue Vite dei Cesari (BUR, traduzione di Felice Dessì), dice: «Tra i suoi due competitori alla carica di console, Lucio Lucceio e Marco Birulo, [Cesare] si alleò col primo, pattuendo che questi, meno popolare ma molto ricco, avrebbe fatto correre denaro nelle centurie, a proprie spese ma a nome di entrambi». Questa frase si spiega con il fatto che, per quanto illegale, il traffico dei voti era entrato nel costume e nella tradizione dei romani dell’epoca di Cesare e faceva parte delle elargizioni che il popolo riteneva proprio diritto richiedere a chi volesse dedicarsi alla politica.
Insomma, a dispetto dei cantori dei tempi che furono, non siamo molto peggio dei nostri progenitori, anche se un certo pregiudizio ci porta a ritenerli migliori di noi. Ciò non deve naturalmente valere a nostra consolazione o come incitazione a imitare le loro “gesta”. Ma contribuisce a smontare il mito della superiorità degli antichi sui moderni. Perché bontà e cattiveria sono in ogni tempo e ogni luogo.
La sintesi dell’erudito scritto è nella fine: bontà e cattiveria sono in ogni tempo e ogni luogo.