Sono sempre stato affascinato dalle ordalie, questo sistema di soluzione delle dispute giudiziarie molto in voga nel Medioevo. Lo storico Marco Cavina, nel suo Il sangue dell’onore, definisce l’ordalia o giudizio di Dio «qualsiasi procedimento con il quale nella società medievale europea – ma fu istituzione nota alle culture più diverse – la divinità veniva chiamata a manifestare la sua insindacabile volontà di fronte a un fatto controverso. L’ordalia constava, dunque, di una prova dal cui risultato veniva fatta dipendere la decisione giudiziaria: espressione di una civiltà giuridica in cui le dimensioni della religione, della morale e del diritto venivano percepite insieme ed indistintamente nell’unità del verbo divino» (p. 8). Le ordalie appaiono al giorno d’oggi piuttosto bizzarre. Cavina ci racconta, ad esempio, delle prove del fuoco e dell’acqua, consistenti nel camminare a piedi nudi su di un certo numero di vomeri infuocati e nell’immergere la mano o il braccio in una caldaia bollente per estrarne uno o più oggetti. La convinzione era che l’innocente se la sarebbe cavata benissimo perché Dio avrebbe riconosciuto la sua innocenza. È facile, invece, immaginare come i “vincitori” di queste prove non fossero tanto i più giusti agli occhi di Dio quanto i più forti, i più resistenti, i più scaltri, forse proprio i più malvagi. In altri casi, la prova poteva anche essere pilotata e favorire un contendente rispetto all’altro. Ne è un esempio una curiosa ordalia haitiana descritta dall’antropologo francese Alfred Métraux nel suo studio classico sul vodù ad Haiti.
A volte a Marbial i bambini sospettati di un qualche delitto vengono sottoposti a una ordalia poco pericolosa. Questa prova è quella del balé, dal nome d’una pianta che avrebbe, dicono, la proprietà di stringere il collo del colpevole se questi non si denuncia da solo. Essendo stato commesso un furto in una casa di Marbial presso la quale stavano giocando dei bambini, gli abitanti del luogo decisero di ricorrere a quest’ordalia. Il principale sospettato era un orfanello il cui carattere selvaggio ispirava ai contadini la massima diffidenza.
Una donna, un poco maga si fece portare un fascio di balé. Cosparse di cenere, vi pronunciò sopra qualche formula magica poi lo spruzzò con l’acqua della quale si era riempita la bocca. Fece mettere in fila i bambini. Lei con un ciuffo di balé in ogni mano, si mise successivamente dietro ognuno di loro, facendo girare tre volte il ciuffo sotto i loro occhi e carezzandone nuca e collo. Quando venne il turno dell’orfano, i due ciuffi gli si allacciarono intorno al collo come un cappio. Spaventato, il poveretto lanciò urla strazianti, ma rifiutò di confessare la sua colpa. […]. Molto tempo dopo si venne a sapere che i bambini erano innocenti, e che il denaro era stato sottratto da una serva. Questa prova è cosi temuta che molti piccoli colpevoli preferiscono confessare il delitto, piuttosto che venire smascherati dalla pianta (Metraux, A., 2015, Il vodu haitiano, Ghibli, Milano, pp. 319-320).
In che senso questa prova era pilotata? Lo stesso Metraux, in una nota al suo libro, specifica: «I gambi di balé uniti in fascio possiedono la curiosa proprietà di ingarbugliarsi gli uni agli altri e, una volta allacciati, d’essere difficilmente separabili. Chi procede all’ordalia non ha che da avvicinare l’uno all’altro i ciuffi che tiene in mano; questi subito si uniscono e formano una morsa attorno al collo del sospettato».
Ed è così che si costruiscono i “giudizi di Dio”.