“Giovane rapinatore ucciso per cento euro”; “Madre di famiglia in coma per la borsetta”.
Titoli come questo pongono a contrasto l’esiguità del bersaglio di un atto criminoso (rapina, scippo) con gli esiti, anche mortali, del medesimo atto e sottolineano il divario esistente tra il reato commesso, di cui viene comunicata la futilità percepita, e le conseguenze letali o comunque dannose, del reato.
Il “sottotitolo” implicito è che non vale la pena perdere la vita per pochi euro o andare in coma per il contenuto di una borsetta. In realtà, queste interpretazioni giornalistiche commettono l’errore di “razionalizzare” gli eventi in base ai loro esiti, quasi che tutto fosse prevedibile sin dall’inizio, e non tengono conto del fatto che i reati si sviluppano spesso secondo una sequenza dagli esiti imprevedibili, tanto per chi commette il reato quanto per la vittima.
Ad esempio, un giovane rapinatore si avvicina a un’auto e punta la pistola contro il proprietario pretendendo tutti i soldi o gli oggetti di valore in suo possesso. Non ha intenzione di usare l’arma, non sa di quanto disponga effettivamente la vittima e spera che il colpo vada liscio. L’autista, invece, reagisce, prima con le parole, poi con i fatti. Apre lo sportello e si avventa sul rapinatore. Questi, sorpreso, spara e lo uccide, pensando di non averlo nemmeno colpito. Nel portafogli della vittima, la polizia trova trenta euro. L’indomani, i giornali titolano: “Ucciso per pochi euro”.
È evidente che, ex post, il divario tra l’esito drammatico della rapina e il bersaglio eletto della stessa appare estremamente ampio, ma tale divario non è per nulla prevedibile dai due protagonisti ab origine. Il rapinatore non “intendeva” uccidere per trenta euro; la vittima non “intendeva” perdere la vita per una cifra esigua.
Insomma, per quanto ci risulti quasi naturale risalire all’intenzione dell’autore del reato partendo dall’esito dello stesso, ciò non è corretto ed è fonte di grandissimi fraintendimenti, anche morali, e non solo nel caso di eventi criminosi.
Nel calcio, ad esempio, è facile giudicare la prestazione di una squadra in base all’esito dell’incontro. Una squadra che perde incidentalmente dopo aver dominato l’incontro sarà definita “ingenua”; una squadra che vince per un’azione fortunosa dopo aver subito per tutta la partita sarà giudicata “cinica”. In entrambi i casi, le sequenze degli eventi sportivi saranno dimenticate e la valutazione finale sarà in funzione del risultato conclusivo.
Giudicare in base agli esiti ci risulta facile. Considerare le sequenze è complesso. E la complessità, lo sappiamo, non trova spazio nei ragionamenti umani.