Si è detto poco, a mio avviso, sul tweet del 01 novembre del governatore della Liguria Giovanni Toti con il quale si sono definiti gli anziani “non indispensabili allo sforzo produttivo del paese”. Lo stesso Toti, peraltro giornalista professionista, ha tentato di mitigare la crudezza del tweet, attribuendola alla sprovvedutezza di un suo collaboratore, strategia ampiamente utilizzata dagli uomini di potere come tecnica di neutralizzazione del biasimo.
Il “proclama” del presidente regionale ligure rientra in una forma egemonica di pensiero sugli anziani, ormai consolidatasi da tempo, nota, sebbene non a tutti, con il nome di ageismo. Con questo termine si intende il “pregiudizio di un gruppo di età nei confronti di altri gruppi di età”, secondo la definizione ormai classica del suo inventore Robert Butler. Oggi, però, il termine è adoperato soprattutto in un’accezione limitata, nel senso di pregiudizio e discriminazione nei confronti di chi è vecchio.
Di solito, i comportamenti ageisti sono spiegati in termini di interazioni tra gruppi di età, come risultanti di pregiudizi individuali o di piccoli gruppi. In realtà, l’ageismo è intimamente connaturato alla società capitalistica in cui viviamo e questo sin dalle sue prime manifestazioni. Il capitalismo, per sua definizione, identifica la normalità con la produttività, il salario, il profitto e il consumo. Chi rifiuta di adeguarsi è immediatamente etichettato come “deviante”, “diverso”, addirittura “cattivo” o “delinquente”. L’importante per il sistema in cui viviamo è produrre e consumare e non importa se, in cambio del mio lavoro, ricavo un salario o accumulo profitti. Non importa se dedico la maggior parte della mia vita a girare viti o fabbricare automobili. L’importante è far parte del circolo lavoro-produzione-consumo. La situazione paradossale è che se produco frutta e ortaggi da immettere nel mercato, conseguendo una retribuzione o un profitto, sarò considerato un cittadino modello. Se produco frutta e ortaggi per il mio autosostentamento sarò considerato uno “spostato”, un “hippie” o un “diverso”.
Per definizione non produttivi, essendo stati espulsi coattivamente dal lavoro produttivo (espulsione che si chiama “pensionamento”), i vecchi diventano non indispensabili, fungibili, inutili. In questo modo, viene decretata la loro morte sociale, travestita con termini quali “fragilità” o certificata dall’attribuzione di ruoli che rientrano nel welfare spicciolo (custodi dei nipoti), ma fondamentale per le sorti del nostro paese.
L’ageismo non è la gaffe di un politico di centro-destra, ma la visione egemonica della vecchiaia inculcata in tutti noi dal sistema capitalistico che abitiamo da qualche secolo. Non è il gesto maldestro di un collaboratore distratto, ma la strategia di una ideologia che dei vecchi non sa che farsene.