No, lo psicologo e sociologo americano George Herbert Mead (1863-1931) non era un appassionato di calcio. Preferiva il baseball, spesso citato nei suoi scritti. Ma le sue osservazioni si applicano generosamente anche allo sport nazionale italiano. Per Mead partecipare a un gioco di squadra è importantissimo per sviluppare un sé adeguato e imparare ad assumere il punto di vista degli altri.
Interagendo con i propri pari nel gioco di squadra, il giocatore sviluppa l’abilità di assumere una varietà di prospettive e di formulare le sue azioni in relazione a diversi punti di vista. Inizia a guardarsi non solo attraverso gli occhi di un altro specifico, ma anche attraverso gli occhi della squadra. Per esempio, quando si gioca a calcio bisogna guardare la propria posizione in relazione a quella degli altri giocatori. Se si sta giocando come difensore, è importante ricevere il pallone e indirizzarlo vero l’attacco e impedire che i giocatori avversari facciano breccia nella propria rete. Bisogna, cioè, assumere numerose prospettive per fare la mossa giusta. Questa comprensione deriva dall’abilità di assumere il ruolo degli altri e di osservare se stesso così come farebbero gli altri dal punto di vista dei ruoli che assumono.
Mead afferma che i bambini gradualmente sviluppano questa capacità di assunzione di ruolo quando partecipano a giochi di squadra come il calcio. Quando la palla è lanciata verso di loro anticipano l’azione dei loro avversari e dei loro compagni di squadra. Sanno dove la palla dovrebbe essere calciata e chi dovrebbe essere a prenderla. Questa conoscenza permette loro di realizzare giochi complessi che implicano scambi competenti.
Nella visione di Mead i giocatori acquisiscono la capacità cruciale di assumere il ruolo di diversi altri e di combinare questi ruoli in una prospettiva simbolica coerente. Sono in grado di assumere il ruolo dell’altro generalizzato. L’altro generalizzato si riferisce alle prospettive e alle aspettative della comunità intesa come un tutto. Quando assumiamo questa prospettiva rispondiamo nei termini dei ruoli organizzati degli altri e dei loro standard condivisi. Noi vediamo noi stessi dal punto di vista privilegiato della comunità (p.es. la squadra) e abbracciamo le regole, le sue aspettative e le sue prospettive. I suoi standard e i suoi punti di vista diventano i nostri.
Attraverso il gioco, dunque, il sé emerge e si stabilizza attraverso le nostre interazioni con gli altri. Attraverso queste interazioni noi impariamo ad assumere il ruolo degli altri e a vedere noi stessi come soggetti sociali. Questa capacità è l’essenza del processo di socializzazione.
Secondo la visione di Mead, dunque, il calcio non è semplicemente un gioco, come vuole la vulgata riduttivistica, ma un passaggio fondamentale nel processo che porta l’individuo a divenire un membro della società. Attraverso il gioco, impariamo ad assumere il punto di vista degli altri e diventiamo esseri sociali. Altro che “correre dietro una palla”.