Che non ci sia bisogno che la divinità esista, ma semplicemente che sia creduta vera, affinché vi siano devoti pronti a venerarla, lo dimostra la storia di santa Filomena, la santa inesistente.
Nel 1802, nelle Catacombe di S. Priscilla a Roma, furono rinvenute le spoglie di un essere umano a cui fu attribuita l’identità di una martire, identificata, tramite un’iscrizione anagrammata, in una certa Filomena. L’iscrizione su tre tegole riportava le parole “LUMENA PAX TE CUM FI” che, opportunamente mescolate, si tramutarono in “PAX TECUM FILUMENA” (“la pace sia con te, Filomena”). Nei pressi del ritrovamento furono rinvenuti anche un’ampolla contenente quello che si pensò fosse il sangue di Filomena, e alcuni simboli (una palma, un’ancora, una freccia).
Una volta “inventata” l’esistenza della martire, il suo culto venne promosso da diversi pontefici. Ad esempio, da Pio IX che accordò persino una messa e una funzione tutta particolare alla santa donna. Alla metà del secolo, Jean-Baptiste Marie Vianney, il famoso curato di Ars, ne favorì la diffusione e la canonizzazione.
Quando la reliquia fu trasferita a Mugnano del Cardinale (AV) nel 1805 dal sacerdote nolano Francesco de Lucia furono testimoniati molti miracoli o almeno così si disse. A tal punto che Filomena fu popolarmente ritenuta una santa. La sua fama si diffuse enormemente, le monache ne presero il nome.
In ultimo, però, e precisamente nel 1961, il Vaticano stabilì clamorosamente che la santa non era mai esistita (James Bentley, 1985, Ossa senza pace, Sugarco Edizioni, Milano, p. 188).
Le conclusioni cui pervenne la Sacra congregazione dei riti si basavano sul fatto che non era dato vedere alcun segno di martirio nell’epigrafe; che pax tecum non ricorre mai nelle epigrafi dei martiri, che già possiedono la pace; che i laterizi con l’iscrizione, in quanto riutilizzati, non davano garanzia circa l’identità della giovane. Infine, l’ampolla non conteneva sangue umano, bensì semplici aromi, utilizzati nelle sepolture dei cristiani.
Di recente, comunque, in un libro di Don Giovanni Braschi, rettore del Santuario di Santa Filomena, dal titolo La Tomba di Filomena tra scienze e fede, si arriva a conclusioni diametralmente opposte. Grazie all’aiuto di tre centri scientifici, l’Opificio delle Pietre Dure e Laboratorio di Restauro di Firenze, il Centro Universitario degli Studi di Milano-Bicocca, il Consorzio Interuniversitario per lo Sviluppo dei Sistemi a Grande Interfase, a cui sono stati affidati i reperti archeologici della tomba di Santa Filomena, sembra che sia stata accertata la reale esistenza della santa. Secondo Don Braschi, la tomba di Santa Filomena, collocata nelle catacombe di Priscilla a Roma, sarebbe risalente al periodo delle persecuzioni (150 – 250 d.C); i tre laterizi che sigillavano la tomba, disposti in maniera errata, non sarebbero mai stati riutilizzati; infine, l’ampolla trovata nella tomba avrebbe contenuto del sangue e non dei semplici aromi.
I fedeli, dal canto loro, non hanno atteso il responso della scienza e dal secolo scorso continuano a venerare santa Filomena e ad attribuirle miracoli di ogni sorta. Del resto, la fede è soprattutto una questione psicologica più che teologica. Se si crede che qualcosa sia vero, si agirà nei suoi confronti in maniera coerente, mettendo in moto comportamenti, atteggiamenti, percezioni che finiscono con il confermare la credenza iniziale, secondo la classica formulazione della cosiddetta “profezia che si autoavvera”.
I miracoli avvengono dove c’è fede, ossia credenza, ovvero uno stato psicologico favorevole ad essi. Lo dice anche l’evangelista Matteo: «E non fece molti miracoli a causa della loro incredulità» (Mt 13, 58).