Nella nostra società multiculturale può capitare che, per non conoscere le sottigliezze della lingua italiana, un immigrato possa anche morire. Ce lo raccontano Ivo Quaranta e Mario Ricca in un capitolo del loro libro Malati fuori luogo, dedicato a esplorare come variano e si compongono i saperi sul corpo e sulla malattia nelle diverse culture e come membri di culture diverse possano fraintendersi quando si incontrano e parlano di corpo e malattia.
I due autori narrano la storia, singolare e tragica al tempo stesso, di un immigrato malese, residente in Italia da svariati anni, e che conosce la lingua italiana, almeno nei suoi aspetti principali, al quale un giorno capita di sentirsi male: accusa dolori, si sente estremamente stanco, avverte un senso di oppressione, ha difficoltà respiratorie e altro ancora. Con questi sintomi, arriva al pronto soccorso, dove viene visitato da un medico. Il medico gli chiede dove sia localizzato il male è la risposta è “il fegato”, termine che in malese si dice hati. In malese, però, hati significa anche la sede delle emozioni, l’equivalente del nostro “cuore”. Il personale sanitario, intendendo per “fegato” la ghiandola che produce la bile, esegue una ecografia addominale, che effettivamente rileva un possibile problema digestivo, prescrivendo una cura congruente e dimettendo il sofferente. Poche ore dopo, tuttavia, durante la notte, l’immigrato malese muore d’infarto a causa di una sofferenza cardiaca non diagnosticata per colpa dell’equivoco linguistico e culturale verificatosi tra il medico e il malato. Un fraintendimento dall’esito mortale che determina, come dicono gli autori, una “sincope interculturale”.
Equivoci del genere non sono affatto rari e ci dicono che la traduzione letterale delle parole non è sufficiente per costruire ponti comunicativi fra culture: è necessario “riempire” i significati di cultura e saper mediare fra le culture, perché le parole veicolano modi di vedere il mondo e di interpretarlo, che possono essere molto dissimili tra loro. Chi di noi italiani, infatti, scambierebbe il cuore con il fegato come sede delle emozioni? Eppure, ciò che noi diamo per scontato può avere significati diversi in culture diverse. È questa la sfida che discipline affascinanti come l’antropologia medica tentano di affrontare nella nostra epoca. Una sfida destinata a diventare sempre più impegnativa e complessa nella nostra epoca di continui incroci di culture.