Nel suo splendido Non c’è Cristo che tenga, Franco Tommasi riporta un episodio che può avere un certo interesse per chi si occupa di pareidolia. A Lisbona, al centro del Largo di San Domenico, è possibile vedere un monumento lapideo eretto in memoria di un episodio del 1506 che, a causa del fanatismo religioso, provocò molte vittime. Che cosa era successo? Lo spiega lo stesso Tommasi.
Le cronache del tempo riferiscono che, mentre si celebrava una messa per pregare Dio di far cessare un periodo di siccità e un’epidemia, qualcuno vide il volto di un crocifisso illuminarsi. Mentre tutti gridavano al miracolo, un “Cristão-novo”, un ebreo costretto con tutti i suoi correligionari a convertirsi al cristianesimo pochi anni prima (come i Marrani in Spagna), ebbe l’imprudenza di protestare che si trattava solo del riflesso di una candela che era stata appena accesa. Fu immediatamente afferrato per i capelli, trascinato fuori dalla chiesa, linciato e bruciato. Presi dall’entusiasmo per questo exploit, i frati domenicani del contiguo convento (che poco dopo diverrà il quartier generale dell’Inquisizione portoghese), incitarono la folla a proseguire l’opera appena iniziata, promettendo, a chi si desse da fare, l’assoluzione per i peccati compiuti negli ultimi 100 giorni. L’incentivo si rivelò azzeccato e nei tre giorni seguenti un esercito di invasati rastrellò meticolosamente la città, catturando circa 2.000 ebrei convertiti (l’unico tipo di ebrei che per legge poteva esistere) e gettandoli tutti nel fuoco — uomini, donne, bambini, spesso vivi. La mattanza ebbe fine soltanto quando per errore la turba di fanatici uccise un nobile (non ebreo) vicino al re, il quale intervenne con durezza estrema (Tommasi, F., 2014, Non c’è Cristo che tenga, Manni, San Cesario di Lecce p. 330).
L’episodio non ha bisogno di troppi commenti. Se non che anche una “banale” illusione percettiva può scatenare gli istinti peggiori del fanatismo umano.