Di solito crediamo che il fenomeno dei “falsi amici”, cioè quei termini di una lingua che, pur presentando somiglianze morfologiche e/o fonetiche con i termini di un’altra lingua, hanno però significati diversi, riguardi soltanto il confronto tra lingue diverse (ad esempio, l’italiano e l’inglese o l’italiano e il francese). In realtà, questo interessante fenomeno linguistico si può osservare anche all’interno della stessa lingua.
Uno degli esempi più noti e clamorosi è un verso delle Rime di Dante Alighieri: «Tanto gentile e tanto onesta pare». In questa frase, nessuno dei tre termini principali – “gentile”, “onesta” e “pare” – ha il significato che oggi vi attribuiamo, tanto che la lettura del verso rappresenta per noi contemporanei un’esperienza straniante. “Gentile”, infatti, significa “signorile, aristocratica”. “Onesta” sta per “molto decorosa, degna di un nobile”. Infine, “pare” non significa “sembra”, ma “si mostra, compare”. Oggi, dunque, il verso di Dante andrebbe tradotto così: «Tanto signorile e nobile si mostra».
Questo esempio – e tanti altri potrebbero essere addotti – dimostra che una lingua può essere estranea a sé stessa. Un po’ come succede all’uomo e alla donna nelle varie fasi della loro vita. È noto dalla psicologia evolutiva che i giovani “sentono” i vecchi come estranei, completamente altri e lo stesso accade ai vecchi nei confronti dei giovani. Tanto che se avessimo la possibilità, da giovani, di incontrare noi stessi da vecchi avremmo sicuramente difficoltà di comprensione.
Lo stesso accade alla lingua: nel suo evolversi diventa estranea a sé stessa e ciò che un tempo era ordinario diventa estraneo fino quasi a non essere più riconoscibile.