A partire dalla metà di dicembre 2015, una serie di strani reati ha funestato la città di New York e in particolare la Subway. In un clima di panico crescente, diversi passeggeri hanno riferito di essere stati feriti al volto da misteriose armi da taglio che hanno causato profonde lacerazioni senza che il colpevole venisse mai identificato. Come prevedibile, i media locali hanno dato grande risonanza alla notizia ipotizzando il verificarsi di quelli che in criminologia sono noti come copycat crimes, cioè “reati imitativi”. Data la numerosità di questo genere di reati verificatisi a New York, i giornalisti hanno ritenuto che al primo slasher siano seguiti altri. Ciò spiegherebbe sia la loro frequenza sia la difficoltà di individuare il responsabile.
Il termine copycat criminal fu coniato dal sociologo David Dressler nel 1961 in un articolo per il «New York Times», intitolato Case of the Copycat Criminal. Secondo Dressler, che peraltro usa il termine solo nel titolo del suo articolo, quando si verificano ondate di crimini simili in un dato periodo di tempo, è probabile che ciò sia dovuto al fatto che alcuni crimini siano imitati. Ancora prima di lui, il sociologo francese Gabriele Tarde (1843-1904) aveva sottolineato il ruolo dell’imitazione nella genesi dei comportamenti sociali, compresi quelli criminali. In realtà, la criminologia accademica non ha mai confermato pienamente questa intuizione. Al contrario, è oggi ben noto che se un determinato reato acquista spazio nei media ciò potrebbe essere dovuto non tanto alla sua frequenza, quanto alla visibilità concessa dagli stessi media. Presso l’opinione pubblica è molto forte la tentazione di confondere visibilità con frequenza, ma il fatto che un fenomeno sia visibile nei media non significa affatto che sia frequente (è un po’ quello che è successo negli ultimi anni a proposito del femminicidio). Prendiamo il caso dei serial killer. È indubbio che questi personaggi appaiano con particolare frequenza nelle cronache come nella fiction televisiva, ma ciò non significa affatto che il mondo sia infestato da loro. In realtà, come riferisce lo studioso Harold Schechter, l’uomo medio che teme di essere ucciso da un serial killer in agguato ha più probabilità di essere ucciso in un incidente automobilistico mentre va ad acquistare una copia de Il silenzio degli innocenti che per mano di un assassino seriale. Secondo alcune statistiche, dal 1900 a oggi i serial killer noti nel mondo sarebbero stati poco più di 3.000, un numero davvero basso per una tipologia così inquietante di criminale. Eppure, a sentire i discorsi dei media, sembra che siamo circondati dalla loro presenza.
Tornando ai copycat crimes, è da notare che perfino comportamenti criminali che appaiono “evidentemente” imitativi possono non esserlo. A metà degli anni Novanta, ebbe una certa diffusione il film Money Train con Jennifer Lopez in cui uno dei protagonisti tenta di dare fuoco all’addetto alla biglietteria della metropolitana. Poco dopo due uomini diedero davvero fuoco a un addetto alla biglietteria della metropolitana, ma, interrogati, rivelarono di non aver mai visto il film e di aver commesso il loro gesto perché costretti dalle circostanze.
Insomma, sebbene non sia dubbio che comportamenti criminali imitativi possano accadere, dobbiamo stare attenti a non etichettare un reato come “imitativo” solo perché presenta delle affinità con un altro. Per altri miti rimando ancora una volta al mio recente 101 falsi miti sulla criminalità.