Nella notte tra il 16 e il 17 marzo 1887, Enrico Pranzini (1856-1887) uccide brutalmente, al numero 17 di via Montaigne a Parigi, tagliando loro la gola con inaudita ferocia, Marie Régnault, in arte Régine de Montille, una prostituta d’alto bordo (alcuni dei suoi clienti erano uomini di rilievo del governo e dell’esercito francesi), la domestica di questa, Annette Gremeret, e la figlia illegittima di Marie Marie-Louise, che la Régine de Montille faceva passare per la figlia della domestica. Pranzini, di lontane origini italiane, viene immediatamente catturato, processato e condannato a morte. Sarà decapitato tramite ghigliottina il 31 agosto 1887.
Il delitto, per la sua efferatezza, suscita grande sdegno in Francia e nel resto d’Europa e varie ipotesi sono avanzate per comprenderne i motivi. Pranzini era una sorta di gigolo. Si diceva che ricattasse le vittime del suo fascino, ma non aveva precedenti penali per crimini violenti né aveva dato segni di aggressività in precedenza. Secondo alcuni, il vero colpevole era un tale Gaston Geissler, ma Pranzini fu ritenuto responsabile perché era fuggito da Parigi proprio la notte degli omicidi e aveva consegnato dei gioielli simili a quelli mancanti dalla scena del crimine ad alcune prostitute di Marsiglia nei giorni successivi al triplice delitto. Alcuni giornali avanzarono una singolare tesi: Enrico Pranzini aveva agito sotto ipnosi. Come spiegare altrimenti il fatto che un uomo seducente, colto, raffinato, un avventuriero poliglotta e intelligente, potesse commettere un delitto così atroce? Sosteneva questa ipotesi il fatto che Pranzini, nato ad Alessandria d’Egitto, fosse circondato da un alone di esotismo e di mistero e che spiegazioni più “razionali” sembravano non dar conto in maniera soddisfacente dello straordinario delitto. Uno dei quotidiani che sostenne la tesi dell’omicida sotto ipnosi fu l’italiano «Corriere della Sera» in un articolo del 2-3 aprile 1887, intitolato “La suggestione ipnotica del delitto. Curiose esperienze di suggestione”. Qualche giorno dopo, il 5-6 aprile, lo stesso quotidiano ospitò un intervento del celebre criminologo Cesare Lombroso, il quale, pur esprimendo riserve sul caso Pranzini, scrisse con una certa sicumera:
Che certi delitti, specialmente di attentato al pudore e di truffa, si possano eseguire mediante l’ipnotismo questo è sicuro; che se ne sieno anche dati dei casi è certo; ma non però molto numerosi; poiché i criminali, essendo poco colti e le pratiche ipnotiche poco diffuse, non hanno ancora approfittato di questa nuova arma, tanto più funesta quanto meno reperibile, che per eccezione (Lombroso, C., 1887, “L’ipnotismo nel delitto e nelle indagini giudiziarie”, in Idem, 2014, Scritti per il «Corriere» 1884-1908, Fondazione Corriere della Sera, Milano, p. 182).
È proprio così? È vero che è possibile uccidere qualcuno in seguito a un comando ipnotico, come accade nel famoso romanzo di Richard Condon Il Candidato della Manciuria (1959)? Nel mio 101 falsi miti sulla criminalità, scrivo a proposito del tema delle rapine compiute sotto ipnosi:
Premesso che non tutti gli esperti convergono su una definizione univoca di ipnosi, è possibile dissipare alcuni miti che da tempo circondano questa pratica e che le hanno conferito una reputazione distorta. Innanzitutto, l’ipnosi non induce uno stato alterato di coscienza. Chi è ipnotizzato è una persona sveglia, solo un po’ rilassata. Inoltre, l’ipnosi non annulla la volontà individuale. Anzi, affinché essa funzioni, è indispensabile che il soggetto sia disposto a farsi ipnotizzare. Senza consenso, nessuna ipnosi può riuscire. Né tramite essa è possibile costringere qualcuno a compiere atti contrari ai propri principi etici. […] Altro mito è che bastino pochi gesti e alcune parole “magiche” pronunciate da una voce suadente, anche in mezzo alla strada o in un luogo affollato, per soggiogare la volontà di una persona. Al contrario l’ipnosi richiede un ambiente tranquillo e diverso tempo a disposizione.
Ma, se gli esperti ci dicono che l’ipnosi non può essere adoperata per realizzare rapine o spingere gli individui a compiere atti contrari alla propria moralità, come si spiega la convinzione di molti testimoni di essere stati ipnotizzati al momento del furto? È possibile fornire una serie di spiegazioni. Nella maggior parte dei casi, si tratta di truffe eseguite da persone competenti che sanno come confondere i loro interlocutori. Il fatto che i protagonisti di queste storie siano spesso stranieri o rom favorisce la proiezione su di essi di tratti di mistero, esotismo, timore (si pensi allo stereotipo della “zingara indovina” o a quello dell’orientale “ammaliatore”). Interviene anche un fattore psicologico. Chi è truffato ha difficoltà ad ammetterlo per non apparire sciocco o ingenuo. La tesi dell’ipnosi permette di salvaguardare il proprio ego, fornendo una versione deresponsabilizzante (“Non ho potuto farci niente. Mi hanno ipnotizzato!”). Infine, contribuisce anche la diffusione decennale della storia dell’”ipnorapinatore”, ormai assurta a leggenda metropolitana. Ogni volta che si trovano in situazioni simili, le persone tendono immediatamente ad attivare i contenuti della leggenda, interpretando quanto è loro accaduto secondo i temi della storia. A ciò va aggiunto che i giornali, nel raccontare questo genere di vicende, quasi mai assumono un punto di vista critico, sposando in maniera irriflessa la tesi facile della “rapina con ipnosi”.
Alla luce di queste considerazioni, ritroviamo nell’affare Pranzini alcuni tempi tipici del delitto commesso sotto ipnosi. Un autore straniero, dai tratti esotici, inquietanti e affascinanti; un delitto inspiegabile e immune (apparentemente) a normali spiegazioni di senso comune; il diniego insistito della propria colpevolezza, fino al giorno della ghigliottina, da parte di Pranzini; la deresponsabilizzazione dell’ambiente altolocato frequentato da Marie Régnault attraverso l’attribuzione della colpa allo straniero; l’estrema brutalità dell’atto criminale da parte di un uomo mai coinvolto in precedenza in violenze simili.
Insomma, è probabile che nel caso Pranzini l’ipnosi non c’entri per nulla. Con buona pace di Lombroso e dei giornalisti del «Corriere della Sera» dell’epoca.
La tesi dell’ipnosi delittuosa ricorre ancora oggi nelle cronache giudiziarie. Ne parlo a lungo nel mio Delitti, a cui rimando per una disamina più approfondita del tema.