[Gli uomini] non si sposerebbero, se potessero prevedere le cause della loro avversione e separazione; i genitori non si curerebbero tanto teneramente dei figli, se conoscessero l’ora della loro morte; un agricoltore non seminerebbe, se pensasse che non ci sarà raccolto; un mercante non si avventurerebbe nel mare, se prevedesse il naufragio; uno non diventerebbe magistrato, per essere subito deposto (p. 83).
In un’epoca dominata dal sapere e dalla conoscenza come la nostra, in cui, sin dalla nascita, assorbiamo come il latte materno l’idea che la conoscenza è importante e ci conduce lontano, può apparire bizzarro rivalutare l’ignoranza o addirittura assegnarle valenze positive.
In un post precedente, ho già fatto notare come l’ignoranza possa assolvere una serie di funzioni sociali ritenute desiderabili e spesso insospettabili o trascurate, a tal punto che è possibile designare una vera e propria sociologia dell’ignoranza.
Le parole con cui si apre questo post sono tratte, invece, dall’Anatomia della malinconia (1621) del pastore anglicano Richard Burton (1577-1640), recentemente riproposto dalla Feltrinelli (2020). Esse abbozzano una delle maggiori contraddizioni dell’esistenza umana. Da un lato, vogliamo essere in grado di prevedere il futuro, sapere che cosa ci aspetta, pianificare consapevolmente gli anni a venire. Dall’altro, un eccesso di conoscenza e prevedibilità renderebbe insopportabile la vita, condannandola a un eterno “già noto”, a una quiete deprimente. Una vita interamente illuminata si capovolgerebbe nel suo contrario, assomigliando più alla morte che a se stessa.
Di qui la necessità dell’ignoranza, di non sapere del tutto quello che accadrà. Essere ignoranti, infatti, predispone all’azione, alla curiosità, alla ricerca di ciò che è oltre. L’ignoranza, in altre parole, predispone alla vita.
Può sembrare un elogio dell’analfabetismo e dell’incompetenza. È, in realtà, l’elogio di ciò che ancora non si sa e che si ha voglia di scoprire, dell’ignoranza come avamposto del sapere e custode della curiosità. Perché non si è più uomini e donne se si sa tutto. Non a caso, secondo le tradizioni del mondo, l’unico che sa tutto è dio, che non è umano.
Sulla sociologia dell’ignoranza, è in uscita un mio libricino per Armando Editore. Vale la pena di leggerlo. E non solo se siete ignoranti.