Nel post precedente, ho ricostruito la curiosa storia della parola “reato” e ho fatto riferimento a quel fenomeno linguistico noto come “etimologia popolare” o “paretimologia” per il quale un termine viene reinterpretato sulla base di somiglianze di forma o di significato con altre parole, deviando dalla forma o dal significato originario. Un esempio spesso citato di etimologia popolare è la parola “repulisti”, usata in espressioni come “fare repulisti” (“fare piazza pulita”), che risale, secondo lo Zanichelli, al 1521. La parola compare in latino in Salmi 42, 2 con un significato completamente diverso. L’espressione “Quare me repulisti?” significa, infatti, “Perché mi hai respinto?” e rimanda al verbo repellĕre (“respingere”). Per accostamento di forma a “pulire”, “pulisti”, il termine è passato dal latino all’italiano e ha cambiato significato.
Dietro questo slittamento semantico, scorgo secoli di incomprensione popolare del latino, soprattutto quello biblico, tentativi di far entrare un po’ di luce nell’oscurità delle parole religiose e di riappropriarsi delle stesse secondo la propria cultura e le proprie conoscenze. È facile tacciare di ignoranza chi ha commesso per primo questo errore (se pure fosse individuabile), ma esso non deve essere censurato, bensì agire da spia di una situazione surreale in cui masse di invididui erano chiamati a partecipare a riti il cui significato era praticamente per loro imperscrutabile e che solo con l’errore riuscivano a compensare il senso di alienazione. È per questo, forse, che “repulisti” è sopravvissuto fino ad oggi e che sopravviverà ancora per un po’.
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