Perché ci laviamo i denti? La risposta sembra facile: per tenerli puliti e prevenire la carie. Igiene, pulizia e alito profumato sembrano essere i tre “fattori” che ci spingono a curare la nostra bocca, dedicandovi, secondo gli standard comunemente accettati, almeno tre “interventi” al giorno con spazzolino e dentifricio.
Oggi, nessuno si sognerebbe di uscire di casa la mattina senza aver lavato i denti, così come di andare a letto senza averlo fatto. Si tratta di gesti abituali e ripetitivi, che ormai sono diventati una “seconda natura” per noi.
Eppure, la popolarità del dentifricio non si deve originariamente a preoccupazioni igieniche. Un tempo, avere denti guasti e corrosi dal cibo era una condizione abituale, accresciuta dall’introduzione, nella dieta dei paesi industrializzati, di zuccheri e cibi elaborati. Quasi un secolo fa, nessuno comprava il dentifricio perché, nonostante i problemi di igiene orale che affliggevano l’umanità, quasi nessuno si lavava i denti.
Furono l’invenzione del dentifricio Pepsodent e, soprattutto, la campagna pubblicitaria per promuovere il prodotto lanciata da un mago del marketing come Claude Hopkins (1866 – 1932) a cambiare radicalmente l’atteggiamento degli americani nei confronti dell’igiene orale.
Bastarono cinque anni di campagna per trasformare il Pepsodent in uno dei prodotti più conosciuti al mondo. In dieci anni, lavarsi i denti divenne un rito irrinunciabile per oltre metà della popolazione americana, un’attività quotidiana destinata, da allora, a non abbandonare mai i gesti quotidiani degli individui.
Ma a quale strategia ricorse Hopkins? Semplice. Introdusse e diffuse l’idea che sui nostri denti vi fosse una “patina” (film, in inglese) – termine da lui inventato – che li rendeva opachi. Tale patina rendeva brutti coloro che non si adoperavano per rimuoverla. In breve, Hopkins creò quasi dal nulla un nuovo bisogno di natura estetica e lo “impose” alla popolazione come un dovere religioso. Chi aspirava alla bellezza, in altre parole, doveva curare la propria igiene orale. La bellezza dei denti fu trasformata in una sineddoche della bellezza fisica, mentre prima si insisteva solo sulle funzioni preventive della pasta dentifricia. È così che fu creata l’abitudine di avere “denti belli” e di provare gratificazione per i propri denti splendenti.
Oggi, il dentifricio, con tutte le sue marche, è diventato uno dei beni di consumo più diffusi al mondo. E pensare che – come ammise candidamente lo stesso Hopkins – non serviva affatto a rimuovere la patina. Da questo punto di vista, era del tutto inutile. Così come oggi tendiamo a credere che più il dentifricio conferisce un buon odore alla nostra bocca, più è efficace. Ma il buon sapore e odore non hanno niente a che fare con l’efficacia igienica. Anzi. Lo spazzolino è molto più importante del dentifricio da questo punto di vista.
Eppure, il solo uso dello spazzolino ci sembrerebbe una mancanza di attenzione nei confronti della nostra bocca. Come è evidente, la lezione di Hopkins è ancora oggi valida: non è importante quello che si fa, ma il significato che si attribuisce a quello che si fa. In altre parole, le nostre credenze sono più importanti della realtà.
È per questo che non rinunceremmo mai al dentifricio, così come ad altri prodotti di cui non sappiamo fare a meno.
La pubblicità ne ha creato il bisogno. L’abitudine li impone indelebilmente alle nostre menti.