Uno dei dogmi riguardanti la criminalità, tanto caro a psicologi e ricercatori che operano nel campo della salute mentale, è che il criminale sia malato. Questa equazione è percepita come particolarmente robusta soprattutto nel caso di delitti efferati o inattesi, come quelli compiuti dai cosiddetti serial killer o in occasione di “raptus”. L’assunto di fondo è che nessun essere umano sano di mente “farebbe mai niente del genere”. Si chiamano in causa, dunque, spiegazioni psichiatriche per dar conto dell’anomalia psicologica o neurologica dell’omicida. Perché, naturalmente, sostiene il senso comune, una anomalia deve pure esserci. E spesso, a furia di cercare, la si trova. I manuali di criminologia di qualche decennio fa fornivano spesso elenchi più o meno creativi di anomalie della mente in grado di spiegare il crimine. In realtà, come fa notare Steven Pinker nel libro Il declino della violenza, «la maggior parte dei violenti, […], tiene ad affermare che non c’è nulla che non vada in loro: sono la vittima e gli spettatori a pensare che abbiano un problema» (p. 102). O lo psichiatra. Così nel caso di “raptus” violenti, i giornalisti chiamano in causa presunti blackout della mente, amnesie inconcepibili ecc., salvo poi scoprire, al minimo approfondimento, che il “raptus” era stato attentamente pianificato, che le tensioni tra l’omicida e la sua vittima andavano avanti da tempo, che l’omicida aveva perso il lavoro, era stato tradito, covava vendetta e così via. Altro, quindi, che “violento e incontrollato impulso interiore”!
Un altro dogma è che quando aumenta la disoccupazione aumenta sia la criminalità violenta (“le persone sono più ‘arrabbiate’”) sia la criminalità predatoria (“la gente ruba perché ha fame”). Invece, per usare ancora il libro di Pinker,
i criminologi sanno da tempo che fra i tassi di disoccupazione e i tassi di criminalità violenta la correlazione non è stretta. (È un po’ più stretta fra i tassi di disoccupazione e i tassi dei reati contro la proprietà.) In effetti, nei tre anni successivi al crollo finanziario del 2008, causa della più grave crisi economica dopo la Grande Depressione, il tasso di omicidi negli Stati Uniti scese di un altro 14 per cento, inducendo il criminologo David Kennedy a spiegare a un giornalista: «L’idea radicata in tutti noi, che quando l’economia va male la criminalità deve andare peggio, è sbagliata. Ed è stata sempre sbagliata (p. 141).
Quelli appena citati sono solo due dei tanti miti sulla criminalità che il senso comune tiene per buoni. Se volete conoscerne altri – addirittura 101 – non posso che invitarvi a leggere il mio recente volume 101 falsi miti sulla criminalità.
Buona lettura.