Una delle fallacie più diffuse tra quanti parlano e ragionano di criminalità è la cosiddetta Pestilence Fallacy, l’idea che all’origine di un male non possano esservi che altri mali e dunque che le principali cause della criminalità siano l’analfabetismo, la miseria, la disoccupazione, le disuguaglianze sociali. Questo tipo di fallacia è particolarmente virulento nei ragionamenti riguardanti il motivo per cui le persone assumono droghe. Il sociologo americano Alfred R. Lindesmith, uno dei primi ad applicare una prospettiva sociologica alla tossicodipendenza, offre al riguardo una descrizione esemplare, tratta dal suo libro Addiction and Opiates, di quella che definisce la Fallacia del “male che causa il male”. Vi propongo il brano in una traduzione inedita perché ritengo che faccia piazza pulita di molti luoghi comuni sulla tossicodipendenza e sui tossicodipendenti in una epoca come la nostra dominata dall’imperativo ideologico delle politiche proibizioniste:
Si dà comunemente per scontato che qualsiasi cosa incoraggi o faciliti il consumo di droghe che causano dipendenza sia ipso facto un male al pari dello stesso consumo di droga. Questa opinione favorisce l’idea secondo cui la sofferenza umana, le anomalie della personalità, gli insuccessi ripetuti, le condizioni di vita nei quartieri degradati, la provenienza da famiglie disgregate e molti altri simili fattori negativi contribuiscano a o “causino” la dipendenza. Tratti di personalità come un atteggiamento spensierato, la propensione a sperimentare o il desiderio di nuove esperienze e piaceri, sono frequentemente citati come tipici della personalità incline alla dipendenza e come anomalie del carattere o della personalità. Ma gli stessi tratti sono spesso ammirati anche in chi non fa uso di droghe. L’attitudine sperimentale che induce alcuni giovani a provare l’LSD, la marijuana e altre droghe motiva anche a diventare scienziati, artisti creativi, riformatori o innovatori. In genere, se un ricco uomo d’affari esibisce un atteggiamento spensierato e mostra interesse per nuove esperienze viene elogiato. La ricerca del piacere, anche tramite sostanze chimiche, è un diffuso passatempo nazionale, come indicano le statistiche sul consumo di alcol.
Un altro esempio simile è dato da coloro che, con il senno di poi, rimproverano i consumatori di droga che hanno sviluppato una dipendenza per la loro propensione a violare la legge e a correre rischi. Questa propensione è inoltre interpretata come un’anomalia della personalità o del carattere. Tuttavia, la propensione al rischio è diffusa in gran parte della popolazione ed è un aspetto pervasivo dell’esistenza. È riscontrabile, ad esempio, in politica, negli affari internazionali, nel matrimonio, nella conduzione di operazioni commerciali e finanziarie, nell’esplorazione, nell’alpinismo, negli sport, nella guida di automobili e aerei e in decine di altre attività e occupazioni. Gli individui che corrono dei rischi, e magari si divertono, spesso diventano eroi, se sopravvivono. D’altra parte, milioni di persone sembrano accettare i rischi che si associano ad attività come fumare tabacco o bere alcolici. Anche la propensione a violare la legge non è del tutto negativa, dal momento che, nel passato, ha spesso avuto come conseguenza innovazione e progresso.
L’opinione secondo cui “il male causa il male”, inducendo subdolamente le persone a fraintendere i tratti, i sentimenti, l’aspetto, le azioni e le motivazioni dei tossicomani, fa sì che esse considerino i consumatori di droga come una razza distinta dalla gente normale. Lo stesso atteggiamento si ha nei confronti di criminali e detenuti. Ecco perché, forse, una delle reazioni più comuni del cittadino medio che visita per la prima volta un penitenziario o un luogo come Synanon, dove è possibile vedere e parlare con i tossicomani, è di sorpresa. Qui egli scopre, infatti, che detenuti e tossicomani sono molto simili alle altre persone e, come le altre persone, ognuno è diverso dagli altri. Qualsiasi debolezza, difetto o fragilità caratteriale o di personalità potrà osservare in loro non ne sarà troppo sorpreso né sconvolto perché ne avrà già conoscenza, o in quanto li condivide egli stesso o in quanto li ha osservati in amici e conoscenti.
Le nostre rappresentazioni della tossicodipendenza sono dominate dagli stereotipi del “tossico ciondolante” e dalle immagini nefaste di film come Noi delle zoo di Berlino che inculcano nella nostra mente una percezione asfittica di una condizione – quella di chi fa uso di droghe – che assume invece configurazioni diversissime, addirittura, in molti casi, compatibili con una vita “normale” e “tranquilla”. Quanti poi ragionano sul fatto, come fa Lindesmith, che le motivazioni ad assumere droghe possono coincidere con quelle che governano le nostre normali scelte quotidiane? Insomma, la fenomenologia della tossicodipendenza è molto più variegata di quanto l’attuale verbo proibizionista lasci trapelare.
Sull’argomento spero di pubblicare presto qualcosa. Nel frattempo, sulla Pestilence Fallacy, rimando al mio ultimo libro Delitti che affronta anche altre fallacie della criminologia quotidiana.