Ho già espresso in un post precedente il mio sconcerto per la propensione di molti calciatori a invocare la divinità a sostegno delle proprie prestazioni calcistiche. Un caso recente al riguardo è quello di Lionel Messi, il quale, il 26 giugno 2018, dopo il 2-1 della sua Argentina sulla Nigeria in occasione del Campionato del mondo 2018 in Russia, ha affermato disinvoltamente: «Dio è con noi, sapevo che non ci avrebbe lasciato fuori. Non dovevamo uscire, è meraviglioso vincere in questa maniera, sapevamo che il cielo ci aveva dato un’altra opportunità dopo le due mancate vittorie nelle prime due gare». Gli ha fatto eco, qualche giorno dopo, il 30 giugno 2018, Edison Cavani, il quale, dopo aver messo a segno una doppietta nel 2-1 contro il Portogallo negli ottavi di finale dello stesso Campionato del mondo ed essersi infortunato, ha commentato: «Dio voglia che non sia nulla di serio. Attendo le visite. Il sogno continua».
È inquietante, anche per un ateo come me, che un Dio che dovrebbe essere onnisciente, onnipotente, equo e giusto sia “convertito” in tifoso di calcio, un comune ultrà che bercia con le sue urla e incoraggiamenti la fede (terrena) per questa o quella strada. Forse però non dovrebbe sorprenderci. Già Michel de Montaigne, in uno dei suoi saggi, Delle preghiere, ricordava:
Noi invochiamo Dio e il suo aiuto in combutta con le nostre colpe, e lo invitiamo all’ingiustizia […]. L’avaro lo prega per la conservazione vana e superflua dei suoi tesori; l’ambizioso per le sue vittorie e per la riuscita della sua passione; il ladro se ne serve per aiuto a vincere il rischio e le difficoltà che si oppongono all’esecuzione delle sue malvagie imprese, o lo ringrazia dell’aiuto che ha avuto nello spogliare un passante. Sotto la casa che vogliono scalare o minare essi dicono le loro preghiere, con l’anima e la speranza piena di crudeltà, di lussuria, di avarizia.
Se anche ladri e, come riportano le cronache, camorristi e mafiosi, invocano la divinità a protezione delle proprie malefatte, non dobbiamo sorprenderci, dunque, che un calciatore faccia lo stesso pro domo sua. Del resto, Maradona fece di peggio. Quando il 22 giugno 1986, l’Argentina vinse contro l’Inghilterra, avviandosi a vincere il campionato mondiale di quell’anno, dopo un suo gol di mano, il Pibe de oro parlò di Mano de Dios, non limitandosi, dunque, a invocare Dio, ma affermando, di fatto, di “essere” Dio.
Per quanto mi riguarda, accolgo sempre con sospetto simili invocazioni. La storia (oltre a Montaigne) ci insegna che le più celebri tra esse hanno giustificato stragi e guerre in ogni secolo. Ricordiamo, ad esempio, il Deus lo volt usato da Pietro l’Eremita nelle sue predicazioni per arruolare crociati per la crociata dei pezzenti e per invitare i cristiani alla liberazione del Santo Sepolcro; o il Gott mit uns (Dio con noi), in origine il motto dell’Ordine Teutonico, poi dei re di Prussia, degli Imperatori tedeschi e del Nazismo. Infine, ricordiamo la risposta che, nel 1209, Arnaud Amaury, che aveva ricevuto dal papa Innocenzo III l’incarico di reprimere l’eresia catara durante la crociata contro gli Albigesi, avrebbe rivolto a un soldato che gli chiedeva come poter distinguere nel combattimento gli eretici dagli altri: «Uccideteli tutti, Dio riconoscerà i suoi».
Insomma, Dio si invoca, per lo più, come slogan di incoraggiamento per i propri fini di parte. E pochi si rendono conto che, in questo modo, si contribuisce alla sua secolarizzazione o, almeno, alla sua riduzione a mero motto retorico.
P.S. L’Argentina di Messi è stata eliminata nel successivo incontro del Campionato del mondo contro la Francia. E ora come la mette Messi con Dio?
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