Ci sono almeno tre cose curiose sul Vaticano (in realtà molte di più) che ho appreso dalla lettura di Segreti e tesori del Vaticano di Massimo Polidoro (Edizioni Piemme, Milano, 2017).
La prima è che ai dipendenti dei Musei Vaticani fu distribuito nel 1982 un Vademecum del custode che contiene una interessante descrizione di come quelli del Vaticano vedono i turisti:
Il turista vede troppe cose e non riesce ad assorbirne il significato: diventa così insensibile a ciò che vede, ottuso e refrattario. Il turista vive un periodo di vita eccezionalmente intenso. Cammina e si stanca più di quanto crede. Si trova in un paese del quale non capisce la lingua, le usanze, il carattere: è quindi sospettoso, timoroso, diffidente. È sovreccitato: un’inezia può farlo esplodere. Perde le cose, dimentica, inciampa, sviene, non digerisce, non dorme, e vive nell’ansia di perdere il treno, l’aereo o il pullman. È pronto a urlare anche se non lo ha mai fatto prima. È pronto persino a picchiare, anche se ha sempre avuto un carattere remissivo (Polidoro, 2017, p. 396).
Si tratta di un identikit psico-sociale che mi ha ricordato quanto letto in vari libri di psicologia e sociologia del turismo. Non si tiene mai abbastanza conto delle trasformazioni psicologiche e sociali in cui incorre l’individuo quando interpreta il ruolo del turista; trasformazioni che, ad esempio, lo rendono più irritabile, più superficiale, ma anche più esposto a un certo tipo di crimini.
A proposito di crimini, la seconda cosa che mi ha incuriosito del libro di Polidoro (ma che già sapevo) è che la Città del Vaticano ha un tasso di criminalità pro capite molto più alto di qualsiasi altra capitale del mondo. Nel 2006, ad esempio, il numero dei reati denunciati è stato più alto del numero dei cittadini! Gli abitanti del piccolo stato sono, dunque, tutti delinquenti? No, la ragione di questa anomalia è dovuta al gran numero di turisti che visitano la Santa Sede. Sono loro, nella stragrande maggioranza dei casi, a compiere reati (soprattutto furti) (Polidoro, 2017, p. 400).
Infine, una piccola avvertenza linguistica a proposito dell’Archivio segreto del Vaticano. Come spiega Polidoro:
L’Archivio segreto del Vaticano, almeno alle sue origini, era meno segreto di quanto il suo nome facesse pensare. “Segreto”, infatti, nell’italiano del Cinque-Seicento voleva dire privato, personale, cioè affidato al secretarius del sovrano. Istituito da Paolo V tra il 1611 e il 1614, raccoglie testimonianze dell’attività pontificia dagli inizi dell’VIII secolo a oggi; tutti i documenti della segreteria di stato, bolle e registri della Cancelleria, incartamenti della Sacra Rota e delle congregazioni dei concilii e delle nunziature (le ambasciate del Vaticano). Ma anche le lettere papali e le relazioni dei conclavi redatte dal cardinale camerlengo e chiuse in buste sigillate che «non potranno essere aperte da nessuno, se il Sommo Pontefice non l’avrà permesso esplicitamente (Polidoro, 2017, p. 399).
I nostri giudizi linguistici devono tenere conto dell’epoca in cui le parole vengono scritte e/o pronunciate. Per un esempio risalente a Dante, rimando a un mio post di qualche anno fa.
I segreti intorno al Vaticano e alla “strana” gente che lì abita sono numerosissimi. Nel libro di Polidoro è possibile scoprirne molti, ma molti altri sarebbero da scoprire.