Provate a chiedere a uno spagnolo di che nazionalità fosse Cristoforo Colombo. La risposta vi sorprenderà. Colombo era spagnolo. Del resto, non è forse vero che trascorse buona parte della sua vita nella Penisola iberica? E che compose quasi tutti i suoi scritti in spagnolo? E il suo nome non era forse Cristóbal Colón? Insomma, per un cittadino di Madrid o di Valencia lo scopritore del Nuovo Mondo era spagnolo. Senza alcun dubbio. Un italiano sorriderebbe a queste pretese. Sin dalla prima elementare ci insegnano che Colombo – non Colón – era nativo della “italianissima” Genova e che si diresse in Spagna solo successivamente. Altro che spagnolo, dunque! È il luogo di nascita che conta. Solo che…
Pensiamo a Sant’Antonio da Padova (1195-1231). Di dov’era il santo dei miracoli? Uno dei più riveriti e invocati d’Italia? Ma di Padova, naturalmente. E invece no! Perché Antonio era nato in Portogallo, a Lisbona, con il nome di Fernando Martins de Bulhões, ed è ancora oggi noto tra i lusitani con il nome di António de Lisboa. E allora dovremmo considerarlo un santo portoghese, se non fosse che gli italiani lo considerano italianissimo, come Cristoforo Colombo.
Le vicende di Cristoforo Colombo e Antonio da Padova ci insegnano che le attribuzioni di nazionalità fungono talvolta da dispositivo strategico per dispensare meriti sulla base di appartenenze geografiche effimere e costruire, così, una idea di nazione eroica, inventiva, geniale. Mi hanno sempre lasciato perplesso le pretese di sindaci e amministratori locali di conferire lustro alle proprie comunità sbiadite riscoprendo nascite casuali di personaggi illustri in rioni e strade dei propri comuni. Ma se un personaggio si è limitato a nascere in un determinato luogo e ha poi trascorso la propria vita prestigiosa e creativa in un altro, perché il primo dovrebbe accampare meriti per un fatto meramente fortuito? Molti scrittori, registi, poeti, attori, politici nascono in scialbi comuni che fanno di tutto per ostacolare il loro estro, costringendoli a “espatriare”. Poi gli stessi comuni esigono venga loro riconosciuto il merito di aver “dato i natali” a questo o quell’illustre personaggio, che avrebbe, invece, tutto il diritto di obliare le sue origini.
Stesso discorso vale per le nazioni. Forse Cristoforo Colombo non sarebbe mai diventato famoso se fosse rimasto a Genova, ma i genovesi sono orgogliosi che sia nato nella loro città e non perdono occasione di ricordarlo. Fernando Martins de Bulhões sarebbe forse rimasto un misero sconosciuto se non fosse venuto a Padova, eppure il Portogallo ostenta con orgoglio di essere la patria del santo.
Il luogo di nascita è una finzione retorica cui attribuiamo troppa importanza. Spesso non ha nessuna influenza sul destino individuale del genio, anzi lo ostacola, come sanno le migliaia di italiani che vanno all’estero in cerca di futuro. Eppure, continuiamo a credere in questa finzione, perché ci dà un senso di stabilità e continuità esistenziale e storica come poche altre. Le nostre, come diceva Benedict Anderson, sono “comunità immaginate”, eppure quanta forza hanno su di noi queste immaginazioni!
E invece è importante. Avrà pure “lavorato” altrove ma è nato in Italia, come Da Vinci, nonostante i tentativi Francesi di farlo diventare francese