In un precedente post, accennavo a come la situazione della criminalità e della devianza in Italia sia andata modificandosi in questo scorcio di epoca virale a seguito dell’emergenza coronavirus e delle conseguenti misure restrittive della libertà di circolazione e di contenimento della vita quotidiana adottate a colpi di DPCM e ordinanze.
Quella che, fino a pochi giorni, fa era una sensazione epidermica e aneddotica è ora sostanziata da alcuni dati “operativi” comunicati dalla Direzione centrale della polizia criminale del Ministero dell’Interno, relativi al periodo 1-22 marzo 2020.
Prendendo in considerazione alcune categorie di reati rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente, l’analisi dei dati consegna risultati tanto strabilianti quanto, in effetti, prevedibili. Le riduzioni più significative riguardano reati quali lo sfruttamento della prostituzione (-77%), le violenze sessuali (-69,9%), i furti in genere (- 67,4%), i furti in abitazione (-72,5%), i furti con destrezza (-75,8%), le rapine in uffici postali (- 73,7%), ma anche le rapine (-54,4%) e i reati relativi agli stupefacenti (-46%).
Anche i maltrattamenti in famiglia registrano una importante diminuzione (- 43,6%), nonostante la maggiore “densità” della vita familiare in questi giorni, come pure gli omicidi volontari (-65,2%), i tentati omicidi (- 50,8%), gli omicidi colposi (- 65%), le estorsioni (- 65,8%), gli incendi (-76,7%).
Le regioni che hanno riportato nel periodo considerato rispetto all’analogo periodo del 2019 una maggiore diminuzione percentuale dei reati commessi sono il Trentino Alto Adige (- 74,1%), la Lombardia (- 70%), le Marche (- 69,9%), la Toscana (- 68,2%), il Veneto (- 68%) e l’Emilia Romagna (- 67,3%). I dati più significativi riguardano ovviamente le regioni dove si sono concentrate le maggiori restrizioni.
A fronte di queste diminuzioni, la polizia postale segnala l’aumento di reati informatici quali false raccolte fondi, invio di link a siti che si rivelano cavalli di Troia per truffe di vario genere, phishing, hacking e così via.
Per quanto sia troppo presto e i dati siano troppo acerbi per trarre conclusioni definitive, appare evidente che:
- alla diminuzione delle opportunità e delle “tentazioni” della vita quotidiana, ha fatto da parallelo la diminuzione dei reati più usuali, quelli caratterizzati appunto dalla presenza di un rapporto necessario e ordinario tra vittima e criminale;
- non si è realizzato, finora, uno degli scenari più temuti: quello del maggior numero di reati domestici in virtù dell’obbligo a una maggiore esposizione familiare (le cosiddette “convivenze forzate”);
- le medesime convivenze forzate non hanno esacerbato istinti aggressivi o omicidi in precedenza sopiti dalle distrazioni della vita quotidiana.
Infine, una nota di cautela: evitiamo di leggere questi dati come un tributo a società dittatoriali in cui abitualmente invalgono misure restrittive della libertà. È noto da tempo che uno degli “effetti collaterali” delle democrazie è la possibilità di un maggior numero di reati rispetto a società liberticide, frutto della maggiore libertà di azione e circolazione caratteristica dei regimi democratici. Ciò non significa che le dittature siano preferibili alle democrazie. Sarebbe come dire che è meglio vivere tutta la propria vita fra le mura domestiche perché così non si rischia di essere investiti da un’automobile.