La situazione creatasi in Italia a seguito dell’epidemia del Coronavirus è la dimostrazione di come il crimine e la devianza, lungi dall’essere stabili e immodificabili, siano fenomeni sociali, profondamente dipendenti dalle categorie attraverso cui ogni comunità interpreta la differenza tra il “bene” e il “male”, tra ciò che è lecito e ciò che è illecito. Altro elemento degno di interesse è il fatto che le istituzioni, in situazioni di emergenza, tendono a “creare” nuove norme la cui violazione ha come conseguenza l’emergere di nuovi comportamenti criminali o devianti o decidono di applicare le norme esistenti a comportamenti prima ritenuti “normali”, rubricando questi sotto un nuovo titolo.
Le cronache recenti (vedi ad esempio qui e qui) della quarantena, sebbene poco più che aneddotiche, segnalano un calo di reati come borseggi e rapine, furti d’auto, furti negli appartamenti e spaccio di droga. Si tratta di reati che presuppongono la presenza simultanea, nello stesso luogo e a distanza ravvicinata, di più persone (borseggi e rapine), l’assenza di persone da determinati luoghi (furti negli appartamenti) o l’occasione di incontro tra chi domanda e chi offre (spaccio). È evidente che, con le strade vuote e le case piene, i reati appena citati hanno minori possibilità di essere compiuti.
Secondo una nota prospettiva criminologica, il Routine Activity Approach di Cohen e Felson, affinché si abbia un delitto deve verificarsi la convergenza di tre elementi: 1. Autori motivati a delinquere; 2. Beni, servizi o persone sui quali il delitto possa essere compiuto; 3. Assenza di persone la cui funzione sia, o possa essere, quella di impedire il compimento del reato stesso. Ebbene, in giorni di quarantena quali quelli che stiamo vivendo, il secondo elemento viene prepotentemente penalizzato, ma anche il primo è fortemente condizionato, mentre l’azione preventiva del terzo è fortemente facilitata.
D’altro lato, si fanno strada nuovi tipi di delitti, quali, ad esempio, la “truffa del tampone” (il truffatore si spaccia per un impiegato della Protezione civile con il compito di eseguire tamponi a domicilio) o svariati reati informatici in cui, ad esempio, messaggi telematici che danno a intendere di comunicare notizie utili a fronteggiare l’emergenza Covid-19 si rivelano potenti “virus informatici” per estorcere informazioni finalizzate al compimento di truffe online di vario genere.
Fino a qui, rimaniamo nell’ambito della criminalità ordinaria. L’emergenza verificatasi a seguito dell’epidemia del Coronavirus ha, però, provocato un completo stravolgimento delle comuni nozioni di “normale”, “deviante”, “criminale” così che comportamenti fino a qualche giorno fa rubricati come ordinari diventano improvvisamente “pericolosi”, “sospetti”, “delittuosi”, “sanzionabili”, generando una situazione straniante.
Basti pensare a condotte come: camminare, correre, frequentare bar e ristoranti, visitare musei, cinema e teatri, partecipare a occasioni conviviali, andare al lavoro, fare la spesa, andare a trovare un parente e, in generale, uscire di casa. Tutte queste attività, che fino a poco fa contribuivano a configurare la vita quotidiana per come la conosciamo, diventano improvvisamente suscettibili di essere ricondotte a fattispecie penali.
Si va dalla “Inosservanza dei provvedimenti dell’Autorità” (art. 650 del Codice penale) alla “Resistenza a un pubblico ufficiale” (art. 337); dalla “Epidemia” (art. 438) e “Avvelenamento di acque o di sostanze alimentari” (art. 439) ai “Delitti colposi contro la salute pubblica” (art. 452), per citarne solo alcuni.
In particolare, comportamenti del tutto anodini come camminare e andare a visitare i genitori rischiano di configurare delitti colposi contro la salute pubblica; l’inosservanza dei provvedimenti dell’Autorità relativi all’ordine pubblico e all’igiene acquista un nuovo, più esteso significato, venendo a includere condotte in precedenza al di là di ogni sospetto; reati sopiti, come quelli previsti dagli artt. 438 e 439 del Codice penale, riemergono e acquistano nuovo vigore. Controlli polizieschi sorvegliano la conduzione moderata di gesti un tempo ordinari. Movimenti che non necessitavano di alcuna giustificazione o legittimazione, essendo scontati, ovvi, banali, diventano improvvisamente, infidi, sospettabili, potenzialmente minacciosi. La paura rafforza forme di sorveglianza solitamente riservate a condotte di altro tipo. Politici, amministratori locali, opinion leaders di ogni genere diffondono proclami severi e paternalistici, che attirano un facile consenso: probabile moneta di scambio per ambizioni rinviate a emergenza terminata.
Naturalmente, tanto stravolgimento è temporaneo. Per la mente umana sarebbe intollerabile un rovesciamento duraturo e così radicale delle abituali nozioni di “normale” e “deviante”. Ne deriverebbero problemi psicologici e sociali di ampia portata, su cui già qualcuno comincia ad avanzare ipotesi.
Nel frattempo, un sociologo potrebbe cogliere questa opportunità per sperimentare dal vivo la relatività, talvolta imbarazzante, dei concetti di “normalità” e “devianza”.
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