Può la pareidolia contribuire alla cattiva fama di un essere vivente? Ad esempio di una farfalla? Sembra di sì, a leggere l’interessante articolo di Giada Costanzo, apparso su «Vanilla Magazine» l’1 ottobre 2017 (ma vedi anche questo articolo). La farfalla in questione, o meglio la falena, è la “sfinge testa di morto”, che, sia per un particolare stridio che è in grado di produrre sia, soprattutto, per una curiosissima testa di morto dipinta sul dorso, è stata associata fin dall’antichità a motivi lugubri. Plinio il Vecchio, nel suo Naturalis historia (77 d.C.), la chiamava Papilio feralis (“farfalla portatrice di morte”). Edgar Allan Poe, nel racconto “La sfinge” (1846) così descrive la sua apparizione:
Ma la peculiarità principale di questa cosa orribile, era la raffigurazione di una Testa di Morto, che copriva quasi interamente la superficie del suo petto, e che era tracciata con precisione in uno scintillante color bianco sul fondo nero del corpo, come se fosse stata disegnata con grande cura da un artista. Mentre guardavo il terrificante animale e più specialmente l’immagine sul suo petto, con un senso di orrore e di timore – misti a una sensazione di sciagura incombente, che mi riusciva impossibile colmare malgrado ogni sforzo della ragione, vidi le enormi mascelle all’estremità della proboscide, spalancarsi all’improvviso; ne usci un suono così forte e pauroso, che colpì i miei nervi come un rintocco funebre.
Thomas Harris, infine, ma potremmo citare anche Bram Stoker, John Keats, Guido Gozzano e altri ancora, così la descrive nel suo celeberrimo Il silenzio degli innocenti (1988):
La falena era meravigliosa e terribile. Le grandi ali bruno-nere erano drappeggiate come un mantello e sull’ampio dorso lanuginoso spiccava il simbolo che ha sempre ispirato timore agli uomini, da quando hanno incominciato a incontrarla all’improvviso nei loro giardini. Il teschio a cupola, il teschio che è nel contempo cranio e volto, gli occhi scuri, gli zigomi, l’arco zigomatico tracciato in modo perfetto accanto agli occhi.
Per una illusione percettiva, una falena, altrimenti innocua e forse anonima, è diventata un simbolo sinistro e macabro, saccheggiato da scrittori e filosofi dell’antichità. Del resto non dovremmo sorprenderci. La pareidolia ha generato opere artistiche, rafforzato credenze religiose e politiche, indotto a credere in fantasmi e altre creature del soprannaturale, generato forme di indagine del futuro su base magica, persuaso all’ascolto di rumori nella speranza di udire voci dall’aldilà e tanto altro ancora. Ne parlo nel mio libro Bizzarre illusioni. Lo strano mondo della pareidolia e i suoi segreti (2012), che naturalmente vi invito a leggere.