La fallacia della causa unica è la tendenza a ritenere che un evento debba essere causato da un’unica causa, quando invece agiscono varie concause. Questa fallacia si spiega con il fatto che, per la mente umana, è più semplice attribuire un determinato effetto a un’unica causa e disconoscere o non considerare gli effetti interattivi tra fattori diversi. In altre parole, la mente umana opta spontaneamente per la reductio ad unum. Questo meccanismo permette, fra l’altro, di attribuire a un’unica causa ogni possibile male con il risultato di favorire la creazione di capri espiatori, buoni a ogni uso. Nel caso del coronavirus, la quotidiana conta dei morti a cui siamo esposti individua nel Covid-19 la causa unica di ogni decesso, inducendo reazioni ansiose, se non di terrore, negli individui. Il coronavirus viene rappresentato come un killer implacabile, responsabile unico di morte e drammi. Eppure, una recente analisi condotta dall’Istituto Superiore di Sanità sui dati di 105 pazienti italiani deceduti al 4 marzo, evidenzia che il 18,3% dei soggetti inclusi nel campione presentavano due patologie e il 67,2% presentavano tre o più patologie (le principali sono l’ipertensione, la cardiopatia ischemica e il diabete mellito). Questa condizione è detta, in gergo medico, comorbidità (presenza di una patologia durante il decorso clinico di un’altra patologia) e spiega perché pazienti già colpiti da altre malattie corrano rischi maggiori, se colpiti anche dal coronavirus, di incorrere in un decorso peggiore.
Due giorni fa, una polemica social tra il noto virologo Roberto Burioni e il giornalista Antonello Piroso ha lambito i termini di questa fallacia. Al giornalista che invitava a riflettere sul fatto che «in Italia secondo me c’è un modo di contare i morti per coronavirus sbagliato. Contiamo chi muore CON il coronavirus, non PER. Che senso ha? Gli altri paesi non lo fanno» Burioni ha risposto: «Posto che si muore sempre per un arresto circolatorio, tutti sono morti a causa del coronavirus».
L’affermazione di Piroso tende a dimenticare che, anche nei casi di comorbidità più intensa, il coronavirus interviene sempre almeno come concausa a determinare il decesso di chi ne è afflitto. Chi muore con il coronavirus muore anche per il coronavirus. La comorbidità non esclude l’incidenza del virus. È come se l’azione del coronavirus fosse riconosciuta nella sua letalità solo in assenza di altre patologie. Ma la realtà, come abbiamo visto, è molto complessa e non riducibile a un’unica causa. Mi pare trasparente il significato apotropaico di argomentazioni come quella di Piroso: “il coronavirus non è letale come sembra. Rassicuriamoci: se causa morte è solo perché si hanno altre malattie”.
Oltre a quella della causa unica, vorrei ricordare altre due fallacie che mi sembra avvelenino il ragionamento intorno alla capacità mortale del coronavirus.
La prima è riassumibile nella formula Cum hoc ergo propter hoc. Questa fallacia consiste nel ritenere che, dal momento che due eventi accadono contemporaneamente, devono essere causalmente correlati come nel seguente esempio: «Il livello di ignoranza della gente è aumentato da quando c’è la televisione; ovviamente vedere la televisione ostacola la cultura». Per la sua disponibilità percettiva, questa fallacia è molto diffusa: è facile, infatti, lasciarsi prendere dalla “tentazione” di scorgere un legame causale tra due eventi che accadono in contemporanea. In alcune argomentazioni di questi giorni mi sembra di scorgere questa fallacia in azione ogni volta che, al contrario della posizione di Piroso, la morte di un soggetto è attribuita esclusivamente al coronavirus pur in presenza di una evidente comorbidità.
La seconda fallacia è nota con la formula Post hoc ergo propter hoc. Essa fa riferimento alla tendenza, molto diffusa, a pensare che due eventi siano causalmente correlati perché uno accade dopo l’altro. Ad esempio, si ha una situazione di post hoc ergo propter hoc quando si recita una formula magica e ci si sente improvvisamente bene (in realtà, i due fenomeni non sono correlati e l’improvviso benessere può essere dovuto a una causa non considerata); oppure quando, in seguito a un’ondata di immigrazione, aumentano l’inflazione e la criminalità e si pensa che siano state causate dagli immigrati (quando le cause potrebbero essere altre). Già il filosofo inglese Hume faceva notare che la mente umana ha la forte tendenza a porre in rapporto causale fenomeni che si verificano l’uno dopo l’altro e che spesso i rapporti causali hanno a che vedere più con le nostre aspettative che con la logica. Parte della fallacia deriva dal fatto che un evento può essere preceduto da molti eventi che potrebbero essere, singolarmente o complessivamente, le vere cause dell’evento.
Ebbene, nel caso del coronavirus, è noto che ogni patologia che si manifesta con i sintomi del Covid-19 è immediatamente attribuita, almeno dal senso comune, all’azione di questo virus, come se, con l’epidemia dilagante di questa malattia, la mente umana non riuscisse ad attribuire ad altre condizioni sintomi simili. In altre parole, poiché i sintomi si manifestano dopo che il coronavirus è divenuto epidemico, questo diventa la causa di ogni sintomo, generando, ovviamente, ansia e paura.
In una situazione di tensione e incertezza quale quella in cui viviamo, è facile che le nostre capacità mentali vadano in cortocircuito e che prevalgono ragionamenti fallaci. L’importante è che non subiscano una “catastrofe”, cioè, etimologicamente, un rovesciamento rovinoso.
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