Secondo la legge italiana, «sono considerati ciechi civili coloro che sono colpiti da cecità assoluta o hanno un residuo visivo non superiore ad un ventesimo in entrambi gli occhi o nell’occhio migliore. La cecità può essere congenita o contratta ma non deve essere dipendente da causa di guerra, infortunio sul lavoro o per causa di servizio».
I ciechi civili si distinguono poi in: ciechi assoluti, con residuo visivo pari a zero in entrambi gli occhi anche con eventuale correzione; ciechi parziali, con residuo visivo non superiore a un ventesimo in entrambi gli occhi con eventuale correzione.
Ai ciechi assoluti spettano l’invalidità di accompagnamento e la pensione di inabilità. Ai ciechi parziali spetta l’erogazione della pensione per ciechi parziali e una indennità speciale.
Per la L. 138 del 3 aprile 2001 “Classificazione e quantificazione delle minorazioni visive e norme in materia di accertamenti oculistici”, sono ciechi totali (art. 2): «a) coloro che sono colpiti da totale mancanza della vista in entrambi gli occhi; b) coloro che hanno la mera percezione dell’ombra e della luce o del moto della mano in entrambi gli occhi o nell’occhio migliore; c) coloro il cui residuo perimetrico binoculare è inferiore al 3 per cento», mentre sono ciechi parziali (art. 3) «a) coloro che hanno un residuo visivo non superiore a 1/20 in entrambi gli occhi o nell’occhio migliore, anche con eventuale correzione; b) coloro il cui residuo perimetrico binoculare è inferiore al 10 per cento».
Come si vede, “essere ciechi”, secondo la legge, non è qualcosa di semplice. Esistono vari gradi di cecità a cui corrispondono vari gradi di autonomia e prestazioni sociali. Inoltre, anche i ciechi assoluti hanno la possibilità di una relativa autonomia. Ad esempio, il Presidente dell’Unione Italiana Ciechi e Ipovedenti (UICI) ha dichiarato più volte di muoversi liberamente senza accompagnatore in posti affollatissimi come ad esempio la stazione ferroviaria di Bologna pur essendo non vedente.
Eppure, nell’immaginario collettivo, il cieco – sempre cieco assoluto – non è mai autonomo, non può fare nulla da solo, è del tutto dipendente con la conseguenza che dovrebbe rimanere a casa o ricevere sempre e comunque l’accompagnamento serrato di qualcuno se esce di casa. Se questa rappresentazione collettiva viene contraddetta, scatta il sospetto, l’ingiuria, la denuncia, come è accaduto a Paola Morandi Treu, la quale, afflitta da una malattia rara che l’ha condannata alla cecità assoluta, è stata “sorpresa” fuori di casa in “atteggiamenti autonomi”, denunciata e additata alla pubblica ignominia come falsa invalida, sbattuta sulle prime pagine di giornali e riviste (anche perché moglie di un noto ammiraglio). La colpa di Morandi Treu è di non “apparire cieca” e di tentare di vivere una vita normale. In altre parole, di non conformarsi allo stereotipo del cieco che si muove goffamente con occhiali scuri e bastone bianco.
Leggendo vicende come quella di Paola Morandi Treu, si acquisisce la convinzione che i disabili, in Italia come nel resto del mondo, siano condannati non solo dalle loro condizioni fisiche, ma anche dalle aspettative e dalle credenze delle persone circa la loro disabilità. Il caso dei “falsi invalidi” – molti dei quali non sono affatto falsi – sta a dimostrarlo. Spesso la denuncia nei loro confronti scatta perché sono sorpresi a compiere azioni che il senso comune ritiene non possano compiere. Ma il senso comune spesso “non sa”, così come sono tante le cose che non sappiamo circa la disabilità e le sue manifestazioni.