Come si costruiscono le coincidenze sbalorditive? Prendiamo il caso della maledizione della J27, secondo cui i musicisti rock che hanno il nome o il cognome che inizia con la lettera J muoiano tragicamente all’età di 27 anni. Come Brian Jones, chitarrista dei Rolling Stones, morto il 3 luglio 1969 all’età di 27 anni; Jimi Hendrix, morto nella sua camera d’albergo a Londra a 27 anni; Janis Joplin, morta il 4 ottobre 1970 a 27 anni o ancora Amy Jade Winehouse, morta il 23 luglio 2011, all’età di 27 anni. Quando ci si trova di fronte a fatti del genere, si rimane pietrificati e si è tentati di attribuire a tali coincidenze significati profondi e misteriosi, senza pensare che, ad esempio, altri cantanti i cui nomi iniziano con la J non sono morti all’età di 27 anni, mentre altri sono morti alle età più disparate (come John Denver, morto in un incidente aereo a 53 anni; John Bonham, morto a 32; Jeff Buckley, annegato nel Mississippi a 30 anni; Joe Strummer, sorpreso da un attacco cardiaco all’età di 50 anni e così via). Quando, però, si crede nelle coincidenze significative si liquidano tali controprove come marginali e si mantiene intatta la credenza nel fenomeno misterioso.
Recentemente, in occasione degli avvenimenti terroristici accaduti in Belgio, ha avuto una certa risonanza il caso del giovane missionario americano mormone Mason Wells, che sarebbe sopravvissuto “per miracolo” a ben tre attentati terroristici: quello di Boston del 2013, quello di Parigi del 2015 e appunto quello recente in Belgio presso l’aeroporto di Zaventem. In realtà, a scavare nella notizia, come ha fatto Butac, il sito specializzato nello svelare le bufale, si scopre che a Boston il giovane si trovava a un isolato dal luogo dell’attentato; nel 2015 non si trovava a Parigi ma a due ore di distanza dalla capitale francese, mentre solo in Belgio si può dire sia scampato davvero alla morte.
La vicenda di Mason Wells ci insegna che le coincidenze miracolose sono spesso frutto di ricostruzioni a posteriori: basta giustapporre fatti che hanno tra loro una analogia, accentuare le somiglianze, celare le differenze, ammantare tutto di significati soprannaturali e stupefacenti e il gioco è fatto. Molti racconti delle vite dei santi sono “costruiti” in questo modo: basti pensare alla vita di San Giuseppe da Copertino, il “santo che volava”, i cui miracoli sono probabilmente da attribuire a cattive testimonianze o a amplificazioni percettive. Come riferisce Robert D. Smith nel suo libro Comparative Miracles, che cito dal sito di Massimo Polidoro:
Molti di questi esempi non biblici di levitazione sia antichi che più recenti sono male documentati; per esempio, solo un testimone ha visto il fenomeno, o l’estatico non ha lasciato completamente il suolo (durante la preghiera, il corpo sembra sollevarsi di vari centimetri ma la tunica tocca ancora il pavimento, nascondendo un eventuale contatto con il suolo, o l’estatico sta in punta di piedi a lungo in modo tale che un supporto naturale sembrerebbe impossibile), o la luce era debole, o i resoconti di levitazione sono emersi solo cinquanta o più anni dopo la morte dell’estatico mentre sono assenti nelle biografie precedenti.
Quando tutti questi “fatti” sono però messi insieme, “limati” e dotati di un significato univoco, l’impressione “miracolosa” è eccezionale e, dopo anni, diventa difficile ricostruire la verità con il risultato che il “miracolo” si sedimenta e diventa realtà accertata.
Costruiamo ogni giorno eventi miracolosi, contribuendo, con le nostre narrazioni, al loro carattere soprannaturale. Così un evento accaduto alle 13:23, accade “esattamente” alle 13:00; un fatto che si verifica a diversi metri da una strada, accade “precisamente” su quella strada; un sogno vago che avviene prima di un incidente annuncia “proprio” quella tragedia e così via.
Siamo noi a costruire le coincidenze misteriose. E poi le chiamiamo miracoli.