Come si dirà green pass al di fuori dell’Italia e, in particolare, nei paesi anglofoni? Green pass, direte tutti in coro, considerando che la locuzione invalsa da noi contiene ben due termini inglesi. Eppure, la risposta non è affatto scontata e un approfondimento porterebbe a ritenere che si tratti addirittura di uno pseudoanglicismo.
Innanzitutto, nei documenti ufficiali italiani e nei green pass emessi in Italia, i termini adoperati sono altri.
Il decreto legge 22 aprile 2021, n. 52 “Misure urgenti per la graduale ripresa delle attività economiche e sociali nel rispetto delle esigenze di contenimento della diffusione dell’epidemia da COVID-19” (poi convertito con modificazioni dalla L. 17 giugno 2021, n. 87), ad esempio, stabilisce all’art. 9 che: “Ai fini del presente articolo valgono le seguenti definizioni: a) certificazioni verdi COVID-19: le certificazioni comprovanti lo stato di avvenuta vaccinazione contro il SARS-CoV-2 o guarigione dall’infezione da SARS-CoV-2, ovvero l’effettuazione di un test molecolare o antigenico rapido con risultato negativo al virus SARS-CoV-2”. Niente green pass, dunque, ma “certificazione verde COVID-19”.
La stessa terminologia è rinvenibile nei documenti che abitualmente chiamiamo green pass e sui quali, come dovremmo sapere (ma non è affatto scontato: spesso non ricordiamo che cosa è scritto sulle banconote, sui documenti e sugli oggetti quotidiani che ci circondano), leggiamo invece “Certificazione verde COVID-19” (EU COVID Certificate). All’interno degli stessi troviamo poi locuzioni come: “Certificazione di vaccinazione” (Vaccination Certificate) o “Certificazione di guarigione” (Certificate of Recovery) che non hanno niente a che vedere con l’espressione da noi adoperata quotidianamente.
Da dove deriva allora la locuzione green pass? Come afferma Licia Corbolante nel suo blog:
Nei media le prime attestazioni del nome in riferimento alle vaccinazioni si trovano a partire da metà febbraio nelle notizie su Israele, dove in inglese è stata chiamata Green Pass l’attestazione digitale che consente a chi è vaccinato di avere accesso ad attività commerciali e uffici. Il nome fa riferimento al sistema di colori del semaforo: il verde segnala via libera.
Da allora i media italiani hanno usato il nome israeliano anche per le certificazioni italiane ed europee, senza verificare che corrispondesse effettivamente ai nomi usati dal Ministero della Salute e dalle istituzioni europee.
E nei paesi anglofoni? Qui l’espressione green pass non è affatto abituale. L’Accademia della Crusca riferisce al riguardo:
Nel mondo anglofono il green pass non sembra godere molta fortuna, assente anche nell’Oxford English Dictionary (OED) (on line), tanto da far sospettare la presenza di uno pseudo-anglicismo.
Utilizzando il metodo degli informatori, la Crusca ci informa che, in Inghilterra, prevale l’espressione vaccine passport, mentre negli Stati Uniti ad avere la meglio sono locuzioni come vaccine certificate, vaccination record, proof of vaccination (o semplicemente CDC (vaccination) card [CDC = Center for Disease Control]), “Covid 19 Vaccination Record Card”.
Detto del green pass israeliano, uscendo dai confini anglofoni, troviamo grüner pass in Germania, impfnachweis, impfzertifikat in Austria, covid-zertificat nella Svizzera tedesca, certificado covid digital in Spagna, passe sanitaire in Francia e così via.
Insomma, giunto a noi da Israele e convertitosi in espressione quotidiana, green pass non è affatto diffuso nel mondo anglosassone, ragione per cui si potrebbe parlare di pseudoanglicismo, ossia di una parola che ha l’aspetto di un anglicismo ma che nella lingua di origine ha un altro significato o non esiste.
Di pseudoanglicismi la nostra lingua è piena. Basti pensare a smoking (per il capo d’abbigliamento), reality (per reality show), spot (per la pubblicità). Ne abbiamo talmente tanti che si potrebbe definire l’Italia il paese degli pseudoanglicismi. E gli pseudoanglicismi non contribuiscono a una buona conoscenza della lingua inglese.