Siete convinti che le testimonianze oculari siano sempre affidabili? Ecco un interessante esperimento di 25 anni fa.
Il 4 ottobre 1992, un Boeing 707 della compagnia El-Al decolla da Schiphol, l’aeroporto di Amsterdam, quando improvvisamente due motori perdono potenza. Il pilota tenta di tornare indietro, ma senza esito. L’aeroplano si schianta contro un palazzo di undici piani di un sobborgo di Amsterdam. Nell’incidente muoiono in totale 43 persone. L’episodio ha una vasta eco in Olanda per diversi giorni.
Dieci mesi dopo, alcuni psicologi, Hans Crombag, Willem A. Wagenaar e Peter J. Van Koppen intervistano 193 persone di varia provenienza sociale. Tra le domande spicca la seguente: “Hai visto in TV il filmato del momento in cui l’aeroplano si è schiantato contro il palazzo?”. Il 55% degli intervistati (107 persone) risponde di sì. Qualche tempo dopo, in una intervista analoga, gli stessi studiosi pongono la stessa domanda a 93 studenti di diritto. Il 66% degli intervistati (62 persone) risponde di aver visto il filmato. Non solo. Essi riferiscono di ricordare perfino dettagli dell’impatto dell’aereo sugli edifici e delle sue conseguenze. Cosa impossibile. Se non altro perché – e questa è la clamorosa sorpresa – il filmato non esiste (è il 1992 e non esistono smartphone e videocamere integrate, né alcun giornalista è presente sul luogo al momento dell’impatto). Perché tante persone dicono di aver visto qualcosa che non hanno visto? La risposta, secondo gli autori, è che gli intervistati hanno immaginato tutto sulla base di inferenze logiche e di dati appresi da altre fonti. Secondo gli psicologi, nella mente di queste persone, la scena si è ripetuta talmente di frequente che esse non si sono rese conto che si trattava del frutto della loro immaginazione. Si tratta, in altre parole, di un falso ricordo condiviso collettivamente. Come chiosano i ricercatori: è «difficile distinguere tra ciò che abbiamo visto nella realtà e ciò che il buon senso ci suggerisce a proposito del modo in cui devono essere andate le cose». Il buon senso e le informazioni ottenute da altre fonti «concorrono ad alterare il ricordo di un testimone oculare». Innegabilmente, «è particolarmente facile che ciò accada quando, come nelle nostre ricerche, l’evento di cui si parla è di natura altamente drammatica, e quasi necessariamente suscita immagini mentali forti e dettagliate».
In conclusione, sostengono gli autori, «dimostriamo che è relativamente facile in una situazione reale fare in modo che adulti ragionevolmente intelligenti credano di essere stati testimoni di qualcosa che non hanno mai visto, ma di cui hanno solo sentito parlare da altri, e far loro riferire dettagli circostanziati dell’evento».
A questo punto, potremmo domandarci: se è così facile indurre falsi ricordi nei testimoni, come mai continuiamo a dare credito alle testimonianze oculari? Perché la frase “L’ho visto con i miei occhi” ci sembra così degna di fede? Ci sono modi per rendere le testimonianze oculari più affidabili?
Rispondo a questa e ad altre domande criminologiche nel mio libro Delitti, pubblicato da C1V Edizioni (2016).