C’è una relazione tra sport e classi sociali? A guardare alla storia del ciclismo sembrerebbe di sì.
Si pensi ad alcuni campioni del ciclismo italiano come Girardengo, Binda, Guerra, Bottecchia. Ottavio Bottecchia, primo ciclista italiano a vincere il Tour de France, nacque in una famiglia povera e lavorò prima come muratore e poi come carrettiere di legnami prima di raggiungere il successo con il ciclismo. Learco Guerra lavorò come muratore fino ai 25 anni. Alfredo Binda lavorava come stuccatore presso uno zio materno. Costante Girardengo lavorava presso le officine ALFA e percorreva ogni giorno 40-50 km in bicicletta tra andata e ritorno a casa. Anche Gino Bartali e Fausto Coppi avevano origini umili e svolsero occupazioni modeste prima di diventare le icone del ciclismo che conosciamo.
Come ricorda Gian Franco Venè,
l’origine dei campioni era bassa, se non infima, e c’era una ragione precisa: per allenarsi molto, farsi i muscoli, conoscere la propria capacità polmonare e iscriversi a una società di dilettanti (ogni cittadina ne aveva più d’una) occorreva svolgere un lavoro quotidiano che contemplasse l’uso continuo della bicicletta, possibilmente di proprietà del datore di lavoro, non del dipendente che non poteva permettersela. I giganti del ciclismo furono così ex garzoni di fornaio, fattorini, portalettere, o anche figli di contadini che, per andare a scuola, arrancavano su strade pessime, con molte salite, per decine di chilometri al giorno (Gian Franco Venè, Mille lire al mese. Vita quotidiana della famiglia nell’Italia fascista, Mondadori, Milano, 1988, p. 194).
Questa origine umile spiega anche la popolarità del ciclismo presso le classi inferiori. Il fatto che i campionissimi usassero un mezzo comune ai membri dei ceti inferiori favorì certamente un rapido processo di identificazione nelle loro imprese. Queste furono vissute come una sorta di riscatto sociale dai marginali, ma non solo. Anche da parte di operai e impiegati.
In epoca fascista, infatti, e anche dopo, operai e impiegati pubblici andavano al lavoro in bicicletta. Il pendolarismo tramite automobile o treno non esisteva e bisognerà attendere qualche decennio prima che le cose cambiassero.
E oggi?
Oggi operai e impiegati pubblici intasano le strade con le loro automobili e affollano i treni, lamentandosi di code in autostrada e ritardi in ferrovia. Le biciclette, invece, sono diventate una forma di passatempo ludico o sportivo per tutti. Nessuno più le utilizza per andare al lavoro… tranne operai e badanti straniere, troppo “poveri” per permettersi auto e treno.
Sì, a ben vedere, le biciclette sono tornate ad essere un simbolo di classe, anche se pochi se ne sono accorti.