Uno dei malfattori appesi alla croce lo insultava: “Non sei tu il Cristo? Salva te stesso e anche noi!”. 40 Ma l’altro lo rimproverava: “Neanche tu hai timore di Dio e sei dannato alla stessa pena? Noi giustamente, perché riceviamo il giusto per le nostre azioni, egli invece non ha fatto nulla di male”. E aggiunse: “Gesù, ricordati di me quando entrerai nel tuo regno”. Gli rispose: “In verità ti dico, oggi sarai con me nel paradiso” (Luca 23,39-43. Bibbia CEI).
I vangeli non dicono molto sull’identità degli uomini crocifissi insieme a Gesù e l’immaginario cattolico li etichetta sbrigativamente come “ladroni” o “malfattori”. Eppure, è probabile che, dietro questa identità dimessa, si nasconda altro, celato da una clamorosa scelta traduttiva.
Come ricorda lo studioso Fernando Bermejo-Rubio, il termine greco con cui sono definiti i due da Marco e Matteo è lēstaì: «Il sostantivo lēstés significa “bandito” o “brigante”, ma può anche designare il “mercenario”; si riferisce, infatti, a differenza del “ladro” (kléptēs), a colui che si appropria dei beni altrui con la violenza. Ebbene, la connotazione negativa del termine ha fatto sì che fosse usato in senso peggiorativo per designare avversari politici e insorti». È poco probabile, dunque, che gli uomini crocifissi con Gesù fossero criminali comuni. E questo per varie ragioni. Innanzitutto, «la crocifissione nell’ambito delle province dell’Impero romano era una pena riservata a delitti di sedizione e laesa maiestas, e durante il periodo di controllo romano almeno fino alla Guerra Giudaica […] le testimonianze disponibili indicano che in Giudea la crocifissione era riservata a ribelli politici e ai loro seguaci». In secondo luogo, «secondo il diritto romano, i sudditi ribelli non erano “nemici” (hostes), ma comuni banditi (latrones, il termine latino corrispondente a lēstaì)» e, quindi, lēstaì è spesso un termine derogatorio per riferirsi ai rivoluzionari antiromani (come confermato anche dal grande storico Flavio Giuseppe). Termini come “banditi” o “briganti” per designare gli insorti servivano a marginalizzare e a privare di qualsivoglia ideale di dignità spirituale e morale queste persone.
In terzo luogo, «l’urgenza di reinterpretare la crocifissione di Gesù non come una sconfitta – un episodio fallito della resistenza antiromana -, insieme al desiderio di presentare le comunità nazoree come scollegate da ogni opposizione all’Impero e contribuire così alla loro sopravvivenza dopo la distruzione di Gerusalemme nel 70 e.v.» obbediva alla volontà apologetica di «scacciare qualsiasi tentazione di collegare Gesù a elementi ostili all’Impero. Presentare gli uomini crocifissi come “banditi” o, come si fa di solito nelle traduzione moderne, come “ladri”, neutralizza tale tentazione».
Infine, «le notizie che nei vangeli rivelano un ambiente conflittuale suggeriscono che i lēstaì crocifissi insieme a Gesù appartenessero ai ribelli antiromani. […]. L’esistenza di un clima rivoltoso nell’epoca e nel luogo in cui avviene la crocifissione del Golgota rende ancora più probabile che l’interpretazione politica del termine lēstaì sia quella corretta».
In conclusione, gli uomini crocifissi con Gesù non erano ladri o banditi, ma individui coinvolti in qualche tipo di resistenza alla dominazione romana su Israele. La distorsione operata dalla scelta delle parole adoperate per definire la loro identità «esprime un giudizio sugli uomini crocifissi che rispecchia i valori dell’Impero romano. Mentre per un nazionalista giudeo quegli uomini saranno stati eroi della resistenza e uno storico imparziale avrebbe scelto il termine “insorti” o un altro assiologicamente neutro, agli occhi di Roma non erano che “banditi” o “briganti”, e cioè volgari criminali senza gloria né onore. È questa valutazione distorta e ostile che accolsero gli evangelisti, senza dar segno di voler prendere le distanze».
È a causa di questa scelta che ancora oggi, nelle nostre lingue, dipendiamo da una traduzione scorretta dei termini adoperati per indicare i due uomini crocifissi insieme a Gesù. Ci piace pensare a questi come a un pacifico predicatore religioso, che annunciò duemila anni fa la “buona novella”. Molto più probabilmente, si trattava di un combattente per la liberazione di Israele, impegnato in un progetto politico, la cui immagine è stata edulcorata nei secoli fino a diventare quella “inventata” in cui tanti oggi ripongono la loro fede.
Fonte:
Bermejo-Rubio, F., 2021, L’invenzione di Gesù di Nazareth. Storia e finzione, Bollati Boringhieri, Torino, pp. 113-115.