Può essere ancora utile oggi per i sovranisti che affollano le nostre aule parlamentari rileggere il testo del discorso di Ernest Renan (1823-1829) Che cos’è una nazione? tenuto alla Sorbona nel 1882. Nonostante lo studioso francese fosse antidemocratico e contrario al suffragio universale, nonché teorico della razza ariana, le sue parole propongono una teoria da cui molti nostri politici potrebbero apprendere una importante lezione e che potremmo definire costruzionistica e quindi interessante perfino per il più moderno dei sociologi.
Per Renan, l’essenza di ogni nazione si basa sull’oblio e più precisamente sta nel fatto che i suoi membri non si limitano a condividere un patrimonio comune, ma anche a dimenticare molte cose. Ad esempio, «nessun cittadino francese sa se è Burgundo, Alano, Visigoto; ogni cittadino francese deve aver dimenticato la notte di San Bartolomeo, i massacri del XIII secolo nel Sud». Potremmo aggiungere i cittadini italiani devono dimenticare che l’unità italiana fu raggiunta al prezzo di conflitti militari intestini. Le nazioni hanno spesso alle spalle un passato di violenze e atrocità, anzi «l’unità si realizza sempre in modo brutale»; brutalità che viene però scotomizzata in modo che si consolidi una visione pacifica e consensuale della nazione.
Ma su quali criteri si fonda una nazione? Ecco le riflessioni di Renan. Una nazione non può fondarsi sulla razza perché «la verità è che non esiste la razza pura e che basare la politica sull’analisi etnica significa fondarla su una chimera». Non può fondarsi nemmeno sulla lingua perché «la lingua invita, ma non forza, a unirsi; gli Stati uniti e l’Inghilterra, l’America Latina e la Spagna parlano la stessa lingua e non formano un’unica nazione. Al contrario, la Svizzera, così ben fatta, poiché si è costituita sulla base del consenso delle sue varie parti, contra tre o quattro lingue». Nemmeno la religione può offrire una base sufficiente per la costituzione di una moderna nazionalità perché «non vi sono più masse che credono in modo uniforme. Ciascuno crede e pratica a modo suo, quello che può, quello che vuole». Stesso discorso per la comunanza di interessi che può servire a creare i trattati di commercio, ma «nella nazionalità c’è un aspetto sentimentale; essa è nello stesso tempo anima e corpo; uno Zollverein non è una patria». Infine, una funzione fondante non può ricadere sulla geografia perché «una nazione è un principio spirituale, prodotto delle profonde complicazioni della storia, una famiglia spirituale, non un gruppo determinato dalla configurazione del suolo».
Che cos’è allora una nazione?
Una nazione è un’anima, un principio spirituale. Due cose, che in realtà sono una cosa sola, costituiscono quest’anima e questo principio spirituale; una è nel passato, l’altra nel presente. Una è il comune possesso di una ricca eredità di ricordi; l’altra è il consenso attuale, il desiderio di vivere insieme, la volontà di continuare a far valere l’eredità ricevuta indivisa. […] Avere glorie comuni nel passato, una volontà comune nel presente; aver compiuto grandi cose insieme, volerne fare altre ancora, ecco le condizioni essenziali per essere un popolo.
La nazione è dunque una grande solidarietà, costituita dal sentimento dei sacrifici compiuti e da quelli che si è ancora disposti a compiere insieme. Presuppone un passato, ma si riassume nel presente attraverso un fatto tangibile: il consenso, il desiderio chiaramente espresso di continuare a vivere insieme. L’esistenza di una nazione è […] un plebiscito di tutti i giorni, come l’esistenza dell’individuo è una affermazione perpetua di vita.
Un “plebiscito di tutti i giorni” può essere dunque offerto da persone di religione, lingua, “razza”, cultura e provenienza diversa!
Ecco una lezione per i sovranisti di oggi. Una lezione esposta da un antidemocratico francese vissuto nell’Ottocento!