Per la psicoanalisi, una fiaba, per quanto semplice e lineare, non è mai una semplice fiaba. Essa nasconde sempre significati ulteriori che hanno a che vedere con fantasie di abbandono, angosce di evirazione, invidie del pene, complessi edipici irrisolti, problemi identitari, crisi psicosociali, e così via. Oppure con rimandi mitologici, interpretazioni storiche e significati religiosi. Dietro i racconti che hanno popolato la nostra infanzia, per Freud e i suoi epigoni, si celano messaggi che parlano ai bambini dei loro vissuti, delle loro paure, delle rivalità fraterne, delle ambivalenze che popolano la loro vita. Sembra quasi che le favole siano una palestra di psicologia di cui i bambini sono gli atleti.
Prendiamo Cenerentola, per esempio. Penserete che l’accostamento tra il suo nome e la cenere che è costretta a pulire a casa della matrigna sia solo un particolare descrittivo. Un modo come un altro per darle un nome. E invece no! Secondo lo psicoanalista austriaco Bruno Bettelheim, autore di un famoso libro dedicato al mondo delle fiabe, Il mondo incantato, «il fatto che Cenerentola sia costretta a vivere in mezzo alla cenere – da cui trae origine il suo nome – è un dettaglio di grande complessità» (p. 243). Il termine tedesco Aschenputtel, con il quale Cenerentola è nota ai bambini tedeschi grazie alla versione della fiaba scritta dai fratelli Grimm, «originariamente […] designava un’umile e sudicia sguattera addetta alla rimozione della cenere dal focolare» (p. 227). Ma dietro questa parvenza di remissività, si annida un significato più profondo che non tutti sono in grado di cogliere e che Bettelheim spiega così:
Noi siamo così abituati a pensare alla condizione di una umile serva che vive in mezzo alla cenere del focolare come a una condizione estremamente degradata che non siamo più in grado di conoscere come, sotto un diverso punto di vista, essa possa essere vista come una posizione desiderabile e addirittura di prestigio. Nei tempi antichi, quella di custode del focolare – il compito delle vergini vestali – era una delle cariche più prestigiose, se non la più importante di tutte, a cui una donna potesse aspirare. La condizione di vergine vestale era molto invidiata nell’antica Roma. Una bambina era scelta per questo onore quand’era fra i sei e i dieci anni: più o meno l’età di Cenerentola così come l’immaginiamo durante i suoi anni di servaggio (p. 244).
L’accostamento tra il nome di Cenerentola e la cenere, dunque, non sarebbe un mero elemento descrittivo, ma preannuncerebbe in nuce il futuro regale della giovane, marcato dal matrimonio con il principe dei suoi sogni. Peccato che tutto questo venga meno a causa di un errore di traduzione, come spiega ancora Bettelheim:
È un peccato, infatti, che Cenerentola sia diventata in inglese Cinderella, una traduzione fin troppo facile e inesatta del francese Cendrillon, che, come il nome germanico dell’eroina, pone in risalto il fatto che essa fu costretta a vivere in mezzo alla cenere. Ashes e non cinders è la corretta traduzione della parola cendre, derivata da cinerem, che in latino significa ceneri. L’Oxford English Dictionary ha cura di osservare che cinders non ha un rapporto etimologico con il francese cendres. Ciò è importante in considerazione dei significati impliciti del nome “Cinderella,” dato che con ashes s’intende la pulitissima sostanza polverulenta che è il residuo della completa combustione; cinders, al contrario, designa i residui decisamente sporchi di una combustione incompleta (pp. 243-244, Nota).
La traduzione inglese, dunque, che ha affinità con quella italiana, narcotizzerebbe il significato “superiore” della cenere, lasciando in auge solo quello “sporco”. Un errore gravissimo, responsabile di un fraintendimento che viene riscattato solo dal finale della fiaba.
Naturalmente, tutto questo è vero se accettiamo le interpretazioni psicologiche di Bettelheim che, a volte, a dire la verità, sembrano un po’ tirate per i capelli. Anzi, per la cenere. Resta il fatto che Il mondo incantato è un libro straordinario che apre la mente sul mondo delle fiabe in maniera imprevedibile. Prima di chiudere una curiosità: Bettelheim esprime anche un’opinione su un altro, più famoso, errore di traduzione che caratterizzerebbe la fiaba di Cenerentola, quello relativo al materiale di cui è composta la scarpetta della principessa, già segnalato nel mio 111 errori di traduzione che hanno cambiato il mondo. Leggiamo quello che dice lo psicoanalista austriaco:
In francese le parole vair (che significa pelliccia variegata) e verre (vetro) sono a volte pronunciate allo stesso modo, e quindi si suppose che Perrault, udita la storia, avesse preso vair per verre e così trasformato una pantofola foderata di pelliccia in una fatta di vetro. Ma, benché venga spesso ripetuta questa spiegazione, sembra non esserci dubbio che la scarpetta di vetro sia stata una deliberata invenzione di Perrault. Ma essa lo costrinse a sopprimere un importante elemento di molte versioni di Cenerentola: il particolare delle sorellastre che si mutilavano i piedi per adattarli alla pantofola. Il principe cadde nella trappola finché non fu avvertito dalla canzone degli uccelli che nella scarpetta c’era del sangue. Questo particolare sarebbe stato immediatamente visibile se la scarpetta fosse stata di vetro (p. 241).
Per Bettelheim, dunque, contrariamente a quello che pensava Balzac, non c’è mai stato errore di traduzione al riguardo delle scarpette di Cenerentola, che per lui sono un “chiaro” simbolo della vagina della donna che il principe vuole disperatamente calzare, cioè possedere (pp. 258-260). In effetti, la querelle è ancora in atto. E probabilmente è destinata a non finire mai.
È proprio vero! Le fiabe non sono mai semplici fiabe.