Secondo le Indicazioni generali per la pianificazione, organizzazione e gestione delle gare di calcio professionistico in modalità “a porte chiuse”, finalizzate al contenimento dell’emergenza epidemiologia da COVID-19, il cosiddetto Protocollo FIGC per la ripresa a porte chiuse delle partite del Campionato italiano di calcio, «il numero massimo di persone ammesse allo Stadio è stabilito in 300 unità per il Campionato di Serie A». Niente pubblico, solo calciatori, ufficiali di gara, personale medico e di sicurezza, raccattapalle, giornalisti (pochi), fotografi (pochi) e poco altro. Nessun accompagnamento da parte di bambini, nessuna mascotte, nessuna foto di squadra, nessuna cerimonia pre-gara con altre persone, nessuna stretta di mano. Ingresso in campo in momenti separati per evitare la contemporanea occupazione del tunnel o dei corridoi da parte del personale ammesso. Non si potrà usare in contemporanea l’accesso agli spogliatoi e al tunnel che immette in campo. Si dovranno ridurre al minimo gli assembramenti. Sarà necessario igienizzare tutti gli strumenti e gli apparati, nonché differenziare l’uso temporale degli spogliatoi da parte delle squadre. Obbligatorio, infine, l’uso di DPI (“disposizioni di protezione individuale”, da non pronunciare all’inglese DiPiAi) nelle aree comuni.
Si preannuncia, dunque, un altro calcio, con alcune regole diverse e transitorie e grandi cambiamenti, che potrebbero avere conseguenze imprevedibili non solo sul consumo televisivo degli spettatori, ma anche sul gioco stesso. In base a quello che si è visto finora in Germania (paese che ha già ricominciato il proprio campionato da qualche settimana), ad esempio, sembra che il calcio dell’era Covid-19 comporti più possesso palla, più passaggi, più gioco effettivo, meno contrasti duri, meno duelli individuali. Ma anche meno condizionamenti sull’arbitro per l’assenza del pubblico. Da questo punto di vista, le partite che ci apprestiamo a vedere costituiranno un interessantissimo esperimento sociale che consentirà di appurare se davvero nel calcio esiste il cosiddetto Home bias, ossia la tendenza inconsapevole degli arbitri a “favorire” la squadra di casa in virtù della pressione esercitata dal pubblico sul suo giudizio.
Finora vari studi confermano l’esistenza di un Home Bias da parte degli arbitri. Ad esempio, una ricerca condotta su 306 partite del campionato tedesco della stagione 2000-2001 ha analizzato il tempo di recupero concesso dagli arbitri alle squadre di casa e a quelle in trasferta, e i calci di rigore concessi o non concessi alle squadra di casa e in trasferta. I risultati hanno evidenziato un marcato favoritismo per le squadre di casa nel senso che gli arbitri concedono più rigori e più tempo di recupero (un minuto e mezzo circa) alle squadre di casa quando la partita è equilibrata e la squadra di casa è in svantaggio o pareggia (Sutter, M., Kocher, M., 2004, “Favouritism of Agents: The Case of Referees’ Home Bias”, Journal of Economic Psychology, vol. 25, n. 4, pp. 461–469). Risultati simili provengono da una ricerca condotta su dati del campionato spagnolo degli anni 1994-1995 (anno in cui la vittoria conferiva due punti alla squadra vincente) e 1998-1999 (anno in cui la vittoria conferiva tre punti alla squadra vincente). In base ai risultati, gli arbitri sembrano ridurre sistematicamente il tempo di recupero quando la squadra di casa è in vantaggio e la partita è in equilibrio, e ad allungarlo quando la squadra di casa è in svantaggio. Ciò non accade quando le partite non sono in equilibrio. In particolare, considerando i dati esaminati, gli autori hanno rilevato che se la squadra di casa è in svantaggio di una rete, il tempo di recupero concesso è di circa il 35% superiore alla media, mentre se è in vantaggio di una rete, il tempo di recupero concesso è circa il 29% inferiore alla media. Il bias è particolarmente pronunciato se, per la squadra di casa, la vittoria ha una importanza straordinaria in termini di conquista di un trofeo o di permanenza in prima serie. Infine, gli autori sostengono che le decisioni dell’arbitro sono condizionate dalle dimensioni e dalla composizione della folla; questi fattori esercitano una pressione a cui gli arbitri frequentemente, anche se inconsapevolmente, cedono (Garicano, L., Palacios-Huerta, I., Prendergast, C., 2005, “Favouritism under Social Pressure”, Review of Economics and Statistics, vol. 87, n. 2, pp. 208–216).
Uno studio ingegnoso è stato condotto da Pettersson-Lidbom e Priks (2010, “Behavior under Social Pressure: Empty Italian Stadiums and Referee Bias”, Economics Letters, vol. 108, n. 2, pp. 212-214) i quali hanno esaminato 842 partite giocate in Italia nei campionati di Serie A e B della stagione 2006-2007. In quella stagione, l’ufficiale di polizia Filippo Raciti morì in seguito agli scontri tra tifosi e polizia dopo il derby Catania-Palermo del 2 febbraio 2007. Tale circostanza portò a una severa applicazione del cosiddetto Decreto Pisanu del 2005 che prevedeva pesanti sanzioni per le squadre che non rispettavano determinati standard di sicurezza. Per questo motivo, 21 incontri della stagione furono svolti senza spettatori. Ponendo a confronto il numero di falli concessi e di cartellini gialli e rossi mostrati ai calciatori, Pettersson-Lidbom e Priks hanno rilevato che gli arbitri tendono a prendere decisioni più “favorevoli” alle squadre di casa quando queste giocano in stadi pieni di spettatori e più “equilibrate” quando gli stadi sono vuoti. L’esito della ricerca dimostra come gli spettatori esercitino una pressione sociale che condiziona inconsapevolmente le decisioni degli arbitri.
Il campionato che ci accingiamo a seguire consentirà di confermare o smentire gli esiti delle ricerche finora effettuate sull’Home bias. E probabilmente consentirà di comprendere altre caratteristiche del gioco del calcio finora “celate” dalla presenza del pubblico e altri attori, oltre che dalle condizioni tecnologiche, giornalistiche e televisive abituali di fruizione dello spettacolo.
Gli attori del calcio – giocatori, arbitri, tifosi – al pari delle “persone normali” vedono il mondo attraverso una serie di bias, ossia di condizionamenti psicologici. Covid-19 potrà essere l’occasione per svelarne alcuni. Nel frattempo, consiglio la lettura del mio Hanno visto tutti! Nella mente del tifoso, libro dedicato a “defatalizzare” molti luoghi comuni del calcio, a partire da quello secondo cui i tifosi – i grandi assenti delle prossime partite – sono tutti fanatici.