Secondo un vecchio luogo comune delle scienze sociali, risalente almeno a La natura del pregiudizio di Gordon Allport del 1954, il contatto tra membri di culture o gruppi sociali diversi sarebbe sufficiente a mitigare o annullare i pregiudizi intercorrenti tra essi. Basterebbe coinvolgere persone provenienti da retroterra sociali e culturali diversi in un qualsiasi compito da svolgere insieme per ottenere una significativa diminuzione del livello di antagonismo da essi sperimentato abitualmente. Ad esempio, assemblare una squadra di calcio con giocatori di etnia, provenienza geografica o religione diversa dovrebbe favorire una migliore convivenza nelle loro relazioni quotidiane.
Una smentita parziale di questo assunto ci viene da una recente ricerca condotta da Salma Sousa, della Stanford University, finalizzata a valutare il grado di coesione sociale in una situazione postbellica. La studiosa ha assegnato casualmente alcuni iracheni displaced di religione cristiana provenienti dall’Islamic State of Iraq and Syria (ISIS) a una squadra di calcio composta unicamente di membri della loro comunità ed altri a una squadra di calcio composta anche di musulmani. Al termine dell’esperimento, i risultati hanno dimostrato che i cristiani che avevano giocato insieme ai musulmani avevano cambiato atteggiamento nei confronti di questi ultimi. Ad esempio, erano più favorevoli a concedere un premio a un calciatore di religione islamica (anche se non facente parte della loro squadra); a far parte, nella stagione successiva, di una squadra mista; ad allenarsi insieme ai musulmani sei mesi dopo l’esperimento.
Non si sono, però, verificati cambiamenti di più ampia portata. Ad esempio, i calciatori cristiani non erano disposti a pranzare insieme ai musulmani in un ristorante di Mosul (Iraq) situato in zona islamica, né a partecipare ad altri eventi sociali con loro. Non si sono poi registrati effetti coerenti sugli atteggiamenti intergruppo in generale, come se la maggiore tolleranza non potesse che riguardare un numero definito e circoscritto di attività.
La ricerca di Sousa smentisce la retorica corriva secondo cui lo sport affratella e unisce, costruendo relazioni ireniche all’insegna di una magica tolleranza intergruppo. Come ogni altro fenomeno sociale, anche lo sport è pesantemente condizionato da fattori sociali più ampi, come la guerra, l’odio razziale, le migrazioni, le circostanze economiche e politiche ecc.
Soprattutto, quando parliamo di conflitti profondi tra comunità belligeranti, occorrono, dunque, condizioni di tutt’altro tipo affinché si riescano a stabilire rapporti stabili e pacifici tra i membri di gruppi sociali diversi.
Fonte: Mousa S., 2020, “Building social cohesion between Christians and Muslims through soccer in post-ISIS Iraq”, Science, vol. 369, n. 6505, pp. 866-870.