Caccia alle streghe con errori di traduzione

Sul fenomeno della caccia alle streghe, che interessò il mondo cristiano dal XV al XVIII secolo, provocando la morte di migliaia di persone accusate di essere “streghe” e “stregoni” asserviti al diavolo, la letteratura è, come si suol dire, sterminata. Gli studiosi si sono soffermati anche sulle cause proponendo varie interpretazioni sulle quali non tutti necessariamente concordano. Quello che è certo è che l’autorità degli inquisitori si reggeva su precisi passi biblici che invitavano i credenti a sterminare gli individui – maschi e femmine – in grado di compiere azioni magiche.  Il passo più noto è sicuramente quello contenuto in Esodo 22, 18, che recita: «Non lascerai vivere colei che pratica la magia» o, a seconda delle edizioni, «Non lascerai vivere la strega». Una frase perentoria, anzi un ordine, che i cattolici e i protestanti dell’epoca presero molto sul serio, invocandola come legittimazione della loro opera distruttrice. Molti studiosi, già a partire dal Cinquecento, fecero però notare che la traduzione del versetto dall’ebraico conteneva un errore fondamentale che rovesciava tutte le argomentazioni dei fautori della stregoneria. Un errore, cioè, che privava di fondamento le credenze irremovibili dei cacciatori di streghe.

Una delle formulazioni più chiare sulla natura dell’errore è espressa da Reginald Scot (c. 1538 – 1599), autore del The Discoverie of Witchcraft (1584), opera per certi aspetti illuministica:

La condanna delle streghe si basa su una falsa traduzione del verso “Non lascerai vivere la strega” (che in latino è: “Veneficam non retinebitis in vita”), in cui la parola [veneficam] è da tutti intesa nel senso di chi compie venefici, non miracoli, interpretazione condivisa anche dai traduttori della Settanta, da Giuseppe, e da quasi tutti i rabbini, che sono ebrei: perché dovremmo fidarci o tenere in conto le affermazioni o le interpretazioni [dei fautori della stregoneria]?

E più in dettaglio:

La parola ebraica chasaph è resa in latino con veneficium, in inglese, “avvelenamento” o “stregoneria”, come si dice. La frase in ebraico riportata in Esodo, 22 è così tradotta in greco dai traduttori della Settanta, Φάρμακους ουκ επιζεωσετε, che in latino diventa veneficos {sive) veneficas non retinebitis in vita, cioé “Non lascerai vivere gli avvelenatori” o (come si suole tradurla) “le streghe”. L’ebreo Giuseppe, uomo di grande reputazione, cultura e fama così interpreta la frase: “Che nessuno dei figli di Israele abbia con sé veleno mortale o composto a scopo malefico. Se qualcuno è sorpreso con il veleno, che sia messo a morte e subisca la stessa sorte che voleva impartire agli altri attraverso la pozione da lui composta. Con questa interpretazione concorda anche quello che dicono i rabbini. Né differisce la lex cornelia la quale stabilisce che chiunque prepari, venda o possegga sostanze velenose con l’intento di uccidere alcuno, debba essere messo a morte. La stessa parola si trova nei seguenti passi: Esodo 22, 18; Deuteronomio 18, 10; 2 Samuele 9, 22; Daniele 2, 2; 2Cronache 33, 6; Isaia. 47, 9, 12; Malachia 3, 5; Geremia 27, 9; Michea 5, 2; Nahum 3, 4. Ciò nonostante, in tutte le nostre traduzioni inglesi, chasaph è tradotto “stregoneria”.

La stessa opinione è offerta da Johann Wier (1515-1588) nel suo De lamiis (Le streghe) del 1577 nel quale ribadisce un’opinione già espressa in una sua opera più vasta intitolata De praestigiis daemonum et incantationibus ac veneficiis (1563):

[…] ritengo di aver già dimostrato, sia con l’etimologia della parola in lingua ebraica, sia con l’aiuto della traduzione dei Settanta, e inoltre con l’opinione comune dei rabbini e con la spiegazione di Giuseppe, che la legge di Mosè, in Esodo, 22, si deve intendere in relazione ai veneficii. Si obietta che quest’ultimi sono compresi sotto il titolo della legge del taglione e quello dell’omicidio … Ma è argomento futile, di gente che non conosce bene il testo di Mosè… Nulla, nei libri di Mosè, è più frequente che la ripetizione di molte cose varie volte: un esempio chiarissimo se ne può addurre subito dal Levitico, ove in tre diversi luoghi si proibisce l’arte magica (nel capitolo 19, e due volte nel capitolo 20), laddove sembra che una sola volta sarebbe stata sufficiente. Non mi affatico a cercare la spiegazione di queste ripetizioni: basta riconoscere che così è piaciuto allo Spirito Santo.

Wier fu però severamente criticato dal filosofo francese Jean Bodin (1529-1596) secondo il quale il testo ebraico dal quale Wier era partito aveva un significato più ampio, riferendosi non solo a chi opera venefici ma anche a chiunque compia azioni soprannaturali coll’aiuto del demonio. Lo scrittore Walter Scott (1771-1832), infine, autore di alcune lettere sulla demonologia e sulla stregoneria (1831) offre entrambe le posizioni:

Il testo al quale si allude è il versetto del ventiduesimo capitolo di Esodo, che recita “Non lasceranno vivere la strega”. Molti uomini eruditi hanno affermato che, in questo brano notevole, la parola ebraica CHASAPH non significa altro che “avvelenatrice”, anche se, come la parola veneficus con la quale è resa nella versione latina della Settanta, altri eruditi asseriscono che essa significa anche “strega”, e può essere intesa nel senso di una persona che abbia la presunzione di nuocere alla vita, al corpo o alla proprietà  del suo prossimo attraverso pozioni velenose, incantesimi o simili mezzi mistici. Al riguardo, le streghe delle Scritture somigliavano probabilmente a quelle dell’Europa antica le quali, sebbene si possano tranquillamente sdegnare le loro facoltà e i loro poteri fintanto che si limitavano a incantesimi e sortilegi, tendevano a dare sostanza alle loro attitudini malvagie facendo uso di veleni, così che gli epiteti di strega e avvelenatrice erano praticamente sinonimi.

Venendo ai giorni nostri, lo storico Brian Levack ribadisce le osservazioni di Wier e Scot seppure richiamando una diversa etimologia:

La Riforma protestante non solo assunse la Bibbia come unica fonte della verità religiosa, ma portò anche alla traduzione delle Scritture in tutte le principali lingue europee. Al tempo stesso fu posto nuovamente l’accento sull’interpretazione letterale delle Scritture stesse. Il risultato di tutto ciò fu che con la diffusione della Riforma, masse sempre più numerose di europei furono in grado di leggere la Bibbia e di citare quei passi che si riferiscono letteralmente alla stregoneria. Di primaria importanza fra questi era quello dell’Esodo (22,18): «Non lascerai vivere chi pratica la magia». A nulla valeva il fatto che l’espressione ebraica originale nel passo citato significasse «qualcuno che opera nell’oscurità e blatera», e non una persona che fa un patto col Diavolo e lo adora. Da questo punto di vista i tentativi fatti da studiosi come Erasmo e Weyer di dimostrare che la Bibbia aveva ben poco da dire riguardo alla stregoneria cinquecentesca caddero nel vuoto. Né importava che alcuni teologi non fossero disposti ad accettare quell’ingiunzione come legge positiva, poiché Cristo aveva dichiarato nulla l’antica legge mosaica. Ciò che importava era che la parola fosse tradotta come «strega» e che il testo fosse usato da predicatori e giudici per sanzionare una fanatica campagna contro le streghe. «Qui si tratta – sosteneva il reverendo James Hutcheson di Killallan, in Scozia, in una predica sull’argomento – di un precetto della legge di Dio che si riferisce a un certo tipo di criminali che si trovano all’interno della Chiesa visibile».

Da tutte queste testimonianze, emerge un fatto incredibile: le gerarchie cristiane potrebbero aver condannato a morte migliaia di persone in base alla interpretazione erronea di un passo biblico. Ciò è evidente soprattutto dal fatto che alcuni capitolari medioevali (raccolte di norme di legge) si richiamavano espressamente alla Bibbia per giustificare i propri contenuti. Ad esempio, nella Admonitio generalis del 789 si può leggere che «così come stabilito dal concilio stesso, non sia tollerata l’esistenza di venefici, maghi, incantatori e incantatrici». Ma non è tutto. La storica Marina Montesano osserva che le traduzioni errate sono responsabili non solo del modo in cui è stata percepita l’identità delle “streghe”, ma anche dell’orientamento a vedere nel sesso femminile quello più incline ad atti di stregoneria:

… un dato che spesso non viene preso in considerazione, ma che potrebbe essere tanto un sintomo quanto un fattore condizionante nel conferire una connotazione di genere alla stregoneria, almeno nell’Europa protestante che leggeva la Bibbia tradotta in volgare, risiede nell’interpretazione di un celebre passo dell’Esodo, spesso citato in diverse legislazioni antistregoniche. «Maleficos non patieris vivere» si legge nella Vulgata di san Gerolamo, e la lezione è riprodotta nello stesso modo dalla revisione Clementina del 1592. al contrario, tutte le traduzioni in volgare cambiano il testo passando dal maschile di “malefici”, che può valere per entrambi i sessi, a un ben più specifico e sessualizzato Witches/Zauberinnen; il che indica una percezione fortemente orientata in tal senso, soprattutto se si pensa che questi volgarizzamenti riprendevano in considerazione le fonti ebraiche e greche in cui si parlava rispettivamente di mekhashefah e di pharmakous, che più corretto sarebbe stato tradurre ‘venefici’ (comunque al maschile/neutro). Già nel 1395 la Bibbia di John Wycliffe riporta «Thou schalt not suffre witchis to lyue», ‘Non lascerai vivere le streghe’; la traduzione luterana (completata da Martin Lutero e da diversi suoi collaboratori nel 1534) rende la frase con «Die Zauberinnen sollst du nicht Leben lassen» (‘Non lascerai vivere le incantatrici’; al pari della Bibbia di Zwingli, del 1531-’40: «Eine Zauberin sollst du nicht am Leben lassen», ‘Non lascerai vivere un’incantatrice’), dove Zauberin è, appunto, piuttosto “incantatrice” che “strega”, ma ha comunque una connotazione al femminile; tutte le traduzioni in inglese, dalla Miles Coverdale (1535), alla Bishop’s Bible (1568), alla Bibbia di Ginevra (1557-1560) sino a quella di re Giacomo (1611) offrono invariabilmente witch.

In sostanza dunque, per quanto naturalmente sia difficile in questi casi stabilire un preciso rapporto di causa-effetto, una traduzione sbagliata può aver influito tanto sulla scelta dei vertici del cristianesimo di trucidare migliaia di persone, quanto sulla scelta di individuare tra le donne il bacino più pericoloso di “operatori dell’occulto”. Una vicenda gravissima che mostra come la traduzione della Bibbia non sia stata solo un evento linguistico, ma abbia determinato, nel suo svolgimento, precisi orientamenti sociali, politici, religiosi che hanno avuto conseguenze rilevanti sulle vite delle persone. Anche se il fenomeno della caccia alle streghe ci appare come un fatto lontanissimo nel tempo.

Fonti:

Levack, B.P., 1999, La caccia alle streghe in Europa, Laterza, Roma-Bari, pp. 125-126.

Montesano, M., 2012, Caccia alle streghe, Salerno Editrice, Roma, pp. 41; 120-121.

Scot, R., 1886,  The Discoverie of Witchcraft, Elliott Stock, London (1584), p. 89; 403.

Scott, W., 1900, Letters on Demonology and Witchcraft, A.L. Fowle, New York  (1831), p. 55.

Wier, J., 1991, Le streghe, Sellerio, Palermo (1577), pp. 16-17; 117-118.

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