A metà agosto, una notizia diffusa in maniera identica da molte testate locali e nazionali (si legga qui il lancio del Mattino), ha evidenziato l’importanza della buona comunicazione nei rapporti umani. Sebbene non si tratti di un errore di traduzione o di interpretazione nel senso interlinguistico dei due termini, essendo il fatto avvenuto tra parlanti che condividevano la stessa lingua nazionale e lo stesso dialetto – quello veneto – , è opportuno, comunque, indugiare brevemente sull’accaduto perché è un caso classico delle conseguenze – anche fisiche – che possono discendere da una frase male intesa. Come riportano le fonti, un bagnante cinquantenne del litorale di Sottomarina a Chioggia ha malmenato un bagnino dopo essere stato invitato da questi a uscire dall’acqua a causa di un temporale in arrivo. L’invito, fatto in dialetto chioggiotto («Xe vento da tera a te porte in mar») è stato male interpretato dal bagnante che ha inteso il termine “mar” come un’offesa alla madre. Sembra che solo grazie all’intervento di altre persone la situazione non sia peggiorata.
Raccontata così, la notizia può fare anche ridere. Una riflessione, anche banale, ci restituisce, però, ulteriori considerazioni. Sappiamo già che episodi altrettanto banali e apparentemente ridicoli hanno avuto conseguenze devastanti per alcuni individui che sono finiti in carcere per un’intercettazione mal tradotta, hanno rischiato la vita per avere frainteso le istruzioni di un medico rese in una lingua diversa, hanno messo a repentaglio la propria carriera politica per un errore di interpretazione. Nel caso di Sottomarina, si è trattato di una banale rissa. In altri casi, la posta in gioco può essere molto più importante.
È poi noto che talvolta, anche all’interno della stessa lingua o dialetto, una frase male interpretata – per un difetto uditivo, un ostacolo comunicativo (vento forte, brusio ecc.), una disattenzione – può avere conseguenze importanti. Si rischia addirittura di mettere in discussione un’amicizia o un rapporto professionale. Ciò perché gli equivoci comunicativi non hanno origine solo dalla ignoranza di una lingua o da un errore di traduzione, ma anche dalla decodifica sbagliata delle parole di una persona che parla la nostra stessa lingua. È un problema di cui si discute moltissimo e sul quale psicologi e sociologi sono al lavoro da anni. Ciò però non toglie che gli esseri umani continuino a farsi male per questioni di incomprensione reciproca.
Dottore, nella mia personale (e non statisticamente significativa) esperienza, tali fenomeni di marcato misanderstanding sono favoriti quando “il ripreso” sa o presume di essere in difetto. Ciò, talora, porta quest’ultimo ad assumere un’atteggiamento preventivo di difesa aggressiva che facilita una percezione alterata del richiamo altrui. O almeno così mi parrebbe. Cari saluti.