Agli inizi del XIX secolo, il mesmerismo o magnetismo animale, una terapia basata sull’applicazione delle teorie, del tutto infondate, del medico tedesco Franz Anton Mesmer (1724-1815), era molto praticato e aveva, sia in Europa che negli Stati Uniti, numerosi estimatori, un po’ come oggi le cosiddette “medicine alternative”, che cultori entusiasti, del tutto incuranti dell’inefficacia di queste pratiche non ufficiali (ma oggi l’espressione “non ufficiale” sembra diventata una sorta di titolo di merito), continuano ad applicare a dispetto delle affermazioni di scettici e scienziati.
T. Barnum, lo showman di cui ho già parlato nel post precedente, era perfettamente a conoscenza dell’infondatezza delle pretese dei mesmeristi e amava divertirsi a loro spese, come nel gustoso aneddoto che segue, tratto dalle sue memorie:
[…] scritturai una piccola e intelligente ragazzina, che mostrava un’estrema sensibilità alle influenze mesmeriche da me, diciamo così, indotte. In altre parole, imparò per filo e per segno la lezione che le impartii, e ogni qualvolta la facevo piombare in catalessi apparente con qualche cenno e mi posizionavo dietro di lei, sembrava debitamente «impressionata», come da me auspicato; sollevava le mani come volevo; crollava dalla sedia sul pavimento; e se mi infilavo in bocca una caramella o del tabacco, fingeva, come da copione, rispettivamente piacere e disgusto. Non fece mai cilecca in queste quotidiane esibizioni. Strano a dirsi, i fautori del mesmerismo vi assistevano con passione, e le invocavano a dimostrazione della veridicità del mesmerismo, e applaudivano fragorosamente – almeno fino a un certo momento.
Quel momento giungeva quando, «addormentata» la ragazza, promettevo a qualcuno in platea di indurlo «nello stesso stato» entro cinque minuti, pena un’ammenda di cinquanta dollari. Ovviamente nessuno dei miei «cenni» avrebbe avuto il potere di indurre in chicchessia uno stato mesmerico, e tre minuti dopo quel qualcuno era più sveglio che mai.
«Fa niente», dicevo, guardando l’orologio. «Ho altri due minuti, e nel frattempo, a riprova che una persona in questo stato è del tutto insensibile al dolore, mi accingerò a tagliare un dito alla ragazza che giace ancora addormentata». Poi tiravo fuori il mio coltello e tastavo la lama, e quando mi giravo verso la ragazza che avevo lasciato sulla sedia, scoprivo che era fuggita dietro le quinte, con grande sollazzo della maggioranza della platea e lo stupore dei mesmeristi presenti.
«Ehi, dov’è finita la mia fanciulla?», chiedevo fingendomi sorpreso.
«Oh, è corsa via quando ha cominciato a parlare di tagliarle un dito».
«Quindi era sveglia, è così?».
«Ma certo, è stata sveglia tutto il tempo».
«Suppongo sia così. Ora, mio caro signore, siccome le avevo promesso che si sarebbe trovato “nello stesso stato” al termine dei cinque minuti, e mi pare che lo sia, ho vinto la scommessa» (P. T. Barnum, 2018, Battaglie e trionfi. Quarant’anni di ricordi, Sellerio Editore, Palermo, pp. 122-124).
Per quanto sia ricordato come uno sbruffone, un imbroglione, un affarista, Barnum sapeva distinguere tra realtà e fantasia, tra terapia e pseudo-terapia e, a suo modo, contribuì a ricondurre a miti pretese ciarlatani e imbonitori. Del resto, come lui stesso ammetteva, i suoi spettacoli erano per gonzi e creduloni.
Non a caso a lui è attribuito il detto “There’s a sucker born every minute” (Ogni minuto nasce un fesso”). Non sappiamo se l’abbia mai detto. Sappiamo però che, in fondo, è vero.